Sono tra coloro che non hanno partecipato alla presentazione dell’intervista di Roberto Covaz a Monsignor Dipiazza non perché – come ha scritto Il Piccolo la scorsa domenica intorno “ai denigratori che non saranno presenti” – “non ne ho avuto il coraggio”, ma perché già coinvolto in altri ben documentabili e precedenti impegni.Vorrei comunque esprimere qualche opinione suscitata dal libro.
Anzitutto le domande dell’intervistatore risultano sempre opportune e professionali, aperte a vasti orizzonti e giustamente incalzanti. L’idea era ottima, leggere la storia di questi ultimi cinquant’anni di Gorizia con gli occhi di un uomo che l’ha vissuta profondamente e dal di dentro, un parroco intelligente, molto “relazionale” e dalla personalità forte ma sostanzialmente buona ed accogliente. Non a caso ho trovato le pagine migliori quelle relative al rapporto con le persone ed alla loro sofferenza, segno di delicatezza e grandezza d’animo. Interessante anche – sempre dallo stesso punto di vista – il resoconto delle attività con la Caritas nei Balcani, anche qui con una sincera compartecipazione alle gioie ed ai dolori di persone e popoli tanto provati dalla guerra e dagli stenti. Semplici ed interessanti mi sono sembrati i racconti sulla formazione in Seminario, delicati e a volte emozionanti i ricordi del paese di nascita e dei familiari.
Ciò che invece non mi è piaciuto è l’aver voluto parlare di tutto senza poter ovviamente in così esiguo spazio approfondire nulla, offrendo così l’impressione di un’inattesa superficialità con giudizi perentori e sommari comunicati senza alcuna documentazione ed approfondimento, quali quelli relativi al mondo sloveno, alla vita diocesana, alla politica locale e ai (pochissimi) personaggi pubblici che hanno avuto l’onore di essere citati. Mancano pagine fondamentali della storia civile, sociale ed ecclesiale di questi ultimi cinquant’anni: il Concilio è stato liquidato in poche righe senza menzione al ruolo di uno dei suoi protagonisti l’Arcivescovo di Gorizia Pangrazio, zero totale su esperienze goriziane ricchissime di valore storico come quelle accadute intorno alla parrocchia di sant’Anna e a don Alberto De Nadai nei primi anni ’70. La realtà dei movimenti ecclesiali frutto del Vaticano II è stata liquidata senza appello e senza un riferimento a vicende importanti come quelle che con la guida di don Silvano Cocolin avevano “acceso” la Gorizia studentesca del dopo sessantotto. Sono lasciate nel quasi completo silenzio la straordinaria impresa culturale formativa dei gesuiti e dei salesiani, nonché quella socio assistenziale dei cappuccini e delle numerose case religiose femminili. L’ultratrentennale esperienza missionaria in Costa d’Avorio è stata semplicemente cancellata così come risulta incredibilmente rapida l’occhiata lanciata su avvenimenti epocali come il processo di integrazione europea della Slovenia e la successiva caduta dei confini; la serie di “sparate” sul mondo degli “sloveni” goriziani è infine assai discutibile dal momento che – con un’indebita generalizzazione – riduce la loro presenza in città ad una ricerca spasmodica di finanziamenti “pro domo sua”…
Non è una sferzata a Gorizia: alla fine rimane soltanto l’impressione di un “tutto sbagliato tutto da rifare” inconcludente e non costruttivo.
Conoscendolo, ritengo che don Ruggero sia uomo migliore di quello che si manifesta in questa strenna natalizia…
Andrea Bellavite
Bellavite osserva che dell’esperienza di Sant’Anna e del ruolo avuto da don alberto De Nadai non si fa menzione nelle “confessioni” di don Ruggero Di Piazza. Forse la dimenticanza non è casuale perchè, diversamente, il don Ruggero “furioso” avrebbe dovuto ricordare il suolo ruolo nell’allontanmento di don Alberto.
Non si può condividere il “culto della personalità” che l’operazione Monsignor no ha messo in campo. A parte le ricadute per Il Piccolo (organo ufficiale della Parrocchia di S.Rocco ?) e per l’autore, a parte l’enfasi sul personaggio alla fine non resterà niente.Peggio, una occasione mancata di dibattito e di confronto.