Il caso della persona che dal mese di agosto (!) dorme su una panchina dei Giardini è emblematico: le hanno bruciato l'”alloggio”, ha passato indenne la stagione delle piogge ed ora sta per passare un Natale sotto zero. Ha ricevuto la visita di assessori, consiglieri comunali, operatori dell’assistenza, giornalisti… eppure è ancora lì e “non c’è posto per lei negli alberghi”. Perché? Perché tutti ragioniamo con il buon senso: le è stata offerta la possibilità di andare al Polivalente, al dormitorio della Caritas, all’Arcobaleno e lei no, imperterrita, non ha accettato. Insomma, si è fatto tutto quello che si doveva far e questa non accetta il nostro aiuto. E siccome il buon senso impone di farle passare un Natale “normale”, che torni nella sua famiglia o dove le pare più opportuno, ma non stia sulla panchina di una città che ha fatto di tutto per venirle incontro, anzi le sono stati offerti anche i soldi per farsi il biglietto del treno e sparire.
Perché questa donna incide così tanto sui nervi dei cittadini goriziani? Perché per l’appunto mette in discussione quel buon senso che le si vorrebbe applicare: non ha detto proprio l’altro ieri l’assessore Seganti che “bisogna pensare prima ai nostri che agli stranieri”? E adesso che è una “nostra” (italiana, molto cattolica tra l’altro) a farsi “straniera” che si fa? Ahi, è saltato il modello e la provinciale Gorizia si trova davanti ad una questione che le altre città stanno affrontando da qualche decennio: che fare se il potenziale aiutato si rifiuta di accettare le nostre condizioni “normali”, il nostro buon senso e preferisce stare una panchina piuttosto di essere rinchiuso in una struttura dove ci sono degli orari e delle regole di convivenza?
La realtà è che se avesse vinto il buon senso probabilmente noi esseri umani saremmo ancora sugli alberi a difenderci dai morsi delle tigri dai denti aguzzi. Per fortuna (almeno io la considero tale) qualcuno non ha avuto tanto buon senso, si è ribellato alle norme ancestrali ed è iniziata quella straordinaria affascinante e drammatica avventura che si chiama storia. Lo avevano capito i giovani del ’68 che hanno messo in discussione (non abolito, ma inquisito) il buon senso della paternità, riannodando così la modernità con l’antico fallimento di Edipo… ma forse i loro figli hanno imparato talmente bene la lezione da sopprimere il soppressore e restaurare l’ordine costituito… appunto il buon senso.
Forse dunque la persona dei Giardini inconsapevolmente con la sua presenza accusa tutti noi, accusa la cultura dell’indiscutibile buon senso, la sedicente “coerente” concezione della natura aristotelico ratzingeriana, la sinistra buonista perché senza una decente idea sostitutiva di 1600 anni di “impero cristiano”. Forse ci invita a pensare seriamente ad un nuovo ’68.
Andrea Bellavite
Scrive Mario Capanna, a conclusione del suo ultimo libro: “Il Sessantotto al futuro: non già la risibile, quanto impossibile, pretesa di incapsulare il futuro nel passato, ma l’aiuto del passato a mettere in moto il futuro. Non la nostalgia, dunque, né l’amarcord, e tanto meno il reducismo…… Non occorre un altro Sessantotto. E’ necessario qualcosa di più e di meglio, se si vuole che la storia prosegua.”
D’accordo Andrea, vada per un nuovo ’68. Ma, se mi è consentito, nella parabola dell’albero rifugio sicuro a protezione “dalle tigri dai denti aguzzi”, è stato il buon senso a far scendere gli uomini e a metterli in cammino per la savana alla conquista del mondo e a “inventare” la Storia.
Dario Ledri
Eh no, non sono d’accordo. Intanto è logico che “un nuovo ’68” non significa riprodurre il passato ma generare un modello culturale nuovo in grado di oltrepassare i limiti delle metafisiche religiose ed ideologiche senza per questo sostituirle con la metafisica della non metafisica. L’incontro tra la logica mediterranea e la crisi della ragione post ed ultramoderna può essere favorito soltanto da una considerazione plurale degli apporti provenienti dalle tradizioni di pensiero orientali e (in parte)africane: è un compito urgente – vera conditio sine qua non – che implica creatività e coraggio nello sfidare appunto il buon senso… quello, io credo così, che avrebbe permesso all’uomo del Pleistocene di obbedire alla sua natura e di non andare a cercare guai accendendo i bastoncini di legno sull’orlo dei vulcani infuocati.
Mi par di capire che sul ’68 siamo d’accordo, senza bisogno di tirare in ballo “la metafisica della non metafisica”. Non a caso la citazione di Capanna si conclude con l’invito (e la segreta speranza) di ricercare “qualcosa di più e di meglio, se si vuole che la storia prosegua”. Se non fosse sufficiente la citazione, nel precedente commento dicevo testualmente: “D’accordo Andrea, vada per un nuovo ’68”. Più chiaro di così!
Ma tu no, non sei d’accordo che io sia d’accordo. Esattamente la metafisica della non metafisica!
Circa l’altra questione, quella davvero importante, credo sia del tutto specioso questionare e arzigogolare sul “buon senso comune”. Se, cioè, la Storia inizia con una “rottura” ovvero per “naturale continuità”: dunque, se è il prevalere di una ragione strutturale e materiale (immanente alla realtà del mondo) ovvero una “libera scelta” contro il senso comune (che ne viene ovviamente sconvolto)ad avviare il percorso della Storia. Che risulti condivisa o condivisibile, l’una o l’altra prospettiva, nulla muta per chi “preferisce stare comunque su una panchina”. E, dunque, il problema risulta irrisolto.
Dario Ledri