Quando la memoria è corta
Anno 1991, primo ministro Giulio Andreotti, il ministro Rino Formica fissa l’aliquota iva per Telepiù, allora controllata da un giovane Silvio Berlusconi, che qualche anno prima aveva ricevuto in regalo da Craxi le frequenze per le sue reti, al 4,5%: aliquota di ampio favore fortemente sollecitata dagli “amici “ del futuro Cavaliere.
Anno 1995, primo ministro Lamberto Dini, l’aliquota viene innalzata, ma nel contempo contenuta – al 10%, con il concorso determinante di Rifondazione Comunista, mentre alti – sempre e comunque – si levano i lai del Cavaliere per le gabelle, i lacci e i lacciuoli imposti alla libera imprenditorialità impegnata in Telepiù (allora, ancora nell’orbita del Cavaliere).
Di tutto ciò oggi pare non esservi memoria, ma soprattutto non ho sentito una voce, una sola voce, dal Pd ricordare al Cavaliere – allorché ossessivamente ripete che “anche Mediaset è penalizzata da un’Iva al 20%” – che diversamente da Sky, le reti Mediaset utilizzano – anche e soprattutto -tre canali in chiaro (di cui uno, Rete4, di fatto abusivo sia per la Consulta che per la Corte Europea nella sua programmazione attuale in una attesa, rimandata di anno in anno, di un suo trasferimento su satellite) per il cui tramite raccolgono una fetta sostanziale della pubblicità in video. Sky, invece, se vuoi vederla prima la paghi.
E, allora, l’innalzamento dell’Iva al 20% è crescita dell’imposizione indiretta ai danni di un concorrente, alla faccia del libero mercato, e aumento delle pressione fiscale su 2,5 milioni di famiglie italiane. Dunque, palese conflitto di interesse e negazione della promessa elettorale di non mettere le “mani nelle tasche degli italiani”. Su quest’ultimo punto, molto probabilmente, l’interpretazione autentica farà dire al “terzista” di turno, sulle pagine del Corriere della Sera, che ovviamente per italiani si intendevano i soli ascoltatori delle reti Mediaset.
Donald Lam
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