E’ molto facile cadere in trappola quando si discute del disegno di legge Alfano sulle intercettazioni, perchè si è portati a trincerarsi dietro aprioristiche prese di posizione di sapore squisitamente politico. Il livello della discussione attorno a questo provvedimento sarebbe molto più alto se ci si soffermasse per un momento sulle cause che l’hanno prodotto. Una fra tutte: l’utilizzo improprio delle intercettazioni. Inutile negare che giornalisti senza scrupoli hanno saziato la propria e l’altrui fame di gossip rendendo noti stralci di conversazioni di nessun interesse sociale. Premesso questo, la risposta politica di bollare tout court le intercettazioni sembra oltremodo esagerata. Il disegno di legge Alfano, infatti, vieta la pubblicazione (anche parziale, o per riassunto o nel contenuto, e anche se non sussiste più il segreto) degli atti di indagine fino al termine dell’udienza preliminare. Il motivo? Salvaguardare il diritto alla riservatezza, un diritto sacrosanto e che, inutile negarlo, non sempre è rispettato. Dovrà pur esistere, tuttavia, un valido criterio per stabilire quando non è legittimo appellarsi al diritto alla privacy? Io credo proprio di sì, ed è la rilevanza sociale dell’informazione. Non dovrebbe interessare a nessuno se il dottore X ha una relazione extraconiugale, ma forse interessa a tutti i suoi pazienti, attuali o potenziali, sapere se questo medico accetta mazzette per sponsorizzare un farmaco. E questo è solo un esempio, nemmeno dei più gravi. Tanto per citare casi ancora ben impressi nella mente di ciscuno di noi, del crack Parmalat, della clinica Santa Rita, delle partite di calcio truccate e delle scalate bancarie dei furbetti del quartierino i cittadini italiani non avrebbero saputo nulla, se non anni dopo. Ma non conoscere importanti fatti di cronaca giudiziaria come quelli poc’anzi citati significa non disporre degli strumenti per formarsi un’opinione, necessaria quando si è chiamati a votare, a decidere sull’impiego dei propri risparmi o a scegliere le proprie cure mediche. Solo un’interessata mistificazione politica può cercare di spacciare questa cronaca per pettegolezzo. Ma veniamo ad altre criticità di questo disegno di legge: l’autorizzazione alle intercettazioni non verrebbe più disposta da un Gip ma da un collegio di tre giudici. A questo punto verrebbe da pensare: “meglio, siamo più garantiti. Sei occhi vedono senz’altro meglio di due”. Vero, se avessimo centomila giudici, peccato che ne abbiamo diecimila, e abbiamo molti tribunali (ottanta, quelli piccoli, tra cui quello di Gorizia) che hanno meno di venti magistrati. Con questi numeri risicati, come si riesce a trovare uno che fa il GIP, uno che fa il Gup, tre che fanno il riesame, tre che fanno le udienze e ora addirittura altri tre per disporre le intercettazioni? Una volta concessa l’autorizzazione è auspicabile che sia possibile effettuare intercettazioni per tutta la durata del reato, e anche oltre. Ciò ora è possibile in quanto esistono le proroghe. Il disegno di legge, invece, prevede che l’intercettazione possa durare un minimo di 45 giorni prorogabili di altri 15. Stop. Può essere che la progettazione di un omicidio duri mesi. Si può mettere per iscritto la durata di un intercettazione? Evidentemente sì, visto che è stato fatto, però lo strumento investigativo diventa a dir poco inefficace. Un altro paradosso: se il disegno di legge verrà tramutato in legge, sarà possibile effettuare intercettazioni solo nel caso in cui sussistano gravi indizi di colpevolezza. Delle due l’una: o ci sono dei dubbi che possono essere fugati con l’ausilio delle intercettazioni, oppure questi dubbi non sussistono e, di conseguenza, non ha più alcun senso servirsene. Concludo soffermandomi sulle misure (fino a tre anni di reclusione) adottate nei confronti dei giornalisti che pubblicano intercettazioni di cui è stata ordinata la distruzione. La stessa maggioranza si è spaccata su questo punto, dichiarando di essere più propensa ad applicare sanzioni pecuniare nei confronti degli editori. Sono solo io a pensare che gli editori, con lo spauracchio di una multa che potrebbe arrivare fino a 500 mila euro, sarebbero indotti ad intervenire sui contenuti, violando le prerogative dei direttori? Insomma, da qualsiasi parte lo si guardi questo disegno di legge presenta un evidente potenziale di pericolosità per per il nostro diritto di informarci e per il dovere dei giornalisti di informare. Fatto salvo il diritto alla riservatezza che andrebbe tutelato maggiormente rendendo più incisive le norme di autoregolamentazione. Ma forse non è il diritto alla riservatezza quello che i nostri politici vogliono salvaguardare, ma il loro sonno. Una cosa è certa … se il disegno di legge Alfano diventerà legge, saranno molto più tranquilli… ElSa
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