Navigando su Internet mi sono imbattuta in un sito che riporta dati agghiaccianti relativi ai tagli del personale effettuati da alcune delle più grandi aziende nel mondo (http://crisis.blogosfere.it/2008/11/lavoratori-di-tutto-il-mondo-siete-licenziati-1.html). Dall’America, dove è nata con lo scoppio della bolla dell’edilizia residenziale prima e commerciale poi, all’Asia e all’Europa questa crisi non risparmia nessuno. Colossi industriali e piccole realtà economiche ne sono coinvolte, anche se con esiti differenti. La conseguenza sulla vita del lavoratore dipendente o atipico (come oggi viene chiamata una tipologia di professionisti per cui non si è riusciti a trovare definizione migliore) è la stessa, la perdita del lavoro, che nella peggiore delle ipotesi può portare alla situazione ben rappresentata dall’immagine del sito poc’anzi citato. Il panico generato da questa congiuntura internazionale è dunque più che comprensibile. “Può capitare anche a me” è il pensiero che frulla nella testa di tanti, giovani e meno giovani. Ma veniamo al problema … La perdita dell’occupazione e, dunque, di un reddito, non è un problema nuovo anche se, senza dubbio, oggi si presenta con una violenza che i nati dopo la seconda metà del secolo scorso non hanno (fortunatamente) mai conosciuto. Il problema risiede piuttosto nella difficoltà di trovare una nuova occupazione quando si ha oltrepassato la soglia dei quarant’anni (o forse anche dei trenta?). Inutile negare che sul mercato del lavoro, dai 40 anni in su, si è già considerati “vecchi”. Questa distorsione (perchè di questo si tratta) ha anch’essa delle spiegazioni, prima fra tutte il quasi totale disimpegno nella formazione permanente (quella che tanti, ignorando di possedere un termine italiano più che adatto per definirla, chiamano “long-life learning”). Ciò è ancora più grave se si pensa che il famoso (o si dovrebbe dire famigerato?) Trattato di Lisbona prevede entro il 2010 il raggiungimento di standard per l’Italia ancora utopistici, e che il nostro Governo poco o nulla ha fatto in termini di incentivi, di detrazioni fiscali e, più in generale, di piani per colmare il divario esistente tra il nostro Paese e gli altri dell’Unione Europea. Cari politici italiani, donne e uomini adulti non hanno forse il diritto di poter spendere le loro competenze o acquisirne di nuove ed avere un lavoro che li faccia sentire attivi e produttivi in una mercato del lavoro che ora, ahimè, sembra non vedere le grosse potenzialità che essi possono esprimere? Un consiglio spassionato: date una riletta all’articolo 4 della Costituzione …
EleEsse
Da quando il lavoro è divenuto una variabile totalmente dipendente dal mercato esso si è via via frantumato in una miriade di forme instabili e precarie. Con un mercato ed un ciclo economico in continua espansione i novelli cantori “delle magnifiche sorti e progressive” potevano laudare ed esaltare la flessibilità del lavoro quale forma moderna del governo della forza lavoro. Moderna in quanto era sincrona agli andamenti del mercato. Era insomma una risposta che esaltava l’organizzazione flessibile delle risorse umane (i lavoratori) in funzione degli andamenti ciclici del mercato all’interno di un più lungo e duraturo “ciclo virtusoso”. Un ciclo virtuoso che si teaorizzava infinito e auto alimentantesi secondo le regole di una finanziarizzazione pervasiva dell’economia. Anche quella reale. Allorchè il meccanismo si è inceppato si sono visti – e purtoppo si vedono, e si continueranno a vedere per più di qualche tempo – i contraccolpi sulle condizioni reali di vita di milioni di uomini. Il vero dramma, però, mi pare costituito da un’intera classe politica (di destra “ma anche” di centrosinistra) che non riesce a proporre e porre in essere quelle misure di sana, vecchia e sperimentata politica keynesiana già varate in altri paesi europei e finanche nell’America di Obama. In Italia, mi pare, restano tutti accecati – con qualche lodevole eccezione – dal mito del mercato, con poche regole (meglio senza, per alcuni)che consente di arricchirsi ad alcuni e di sperimentare la precarietà esistenzale per i moltissimi, giovani e meno giovani.
Dario
Cronaca di una precaria:
a 19 anni ho firmato il mio primo contratto di lavoro. Gioia incontenibile e poi cosa importa se è a tempo determinato: devo farmi le ossa, imparare, fare esperienza. Lavoro e imparo con l’entusiasmo di chi ha voglia di fare. Straordinari mai pagati, compensativi presi solo sulla carta.
Ma davvero, non importa! Al diavolo se “regalo” 20, 30 ore in più al mio datore di lavoro: sto imparando e queste ore in più sono utili per me, in primo luogo.
Poi tutto termina, ma non è un problema. Ho appena 20 anni.
E difatti con la stessa gioia dell’anno prima… firmetta sul secondo contratto.
Cambio mansioni, ovviamente. Altre cose da imparare: bellissimo. Amo la varietà e poi imparare è stimolante, mi piace fare qualcosa di nuovo, quindi, anche in questo caso, nessun problema.
Disponibilità massima: orari liberi, lavoro anche a casa e “autoformazione”: in pratica di sera mi studiavo gli argomenti di lavoro.
Senza tediare con il terzo, quarto, quinto contratto dirò solo che giro vari enti pubblici, aziende private, sia a Gorizia che fuori città.
Intanto la mia vita personale scorre e, ad un certo punto, sento il desiderio di avere dei figli. Nasce il primo e continuo a lavorare (ovviamente a tempo determinato), di asilo nido neanche l’ombra, fuori lista.
E’ necessario prendere la baby sitter che ovviamente lavora per me in nero: chi potrebbe permettersi di metterla in regola? Io lavoro part time per 600.000 lire e do 400.000 alla ragazza. Ancora me lo ricordo. Mi ricordo i calcoli: ma ne varrà la pena?
Ma sì, mi dicevo. Tieni duro, tra un po’ sei dentro il mondo del lavoro a pieno titolo. Sarai in grado di dare un futuro alla famiglia, ai figli, a te stessa.
Pensieri comuni, credo, comuni a molte mamme.
Quindi, al lavoro!
Avevo quasi trent’anni: dieci anni di “precariato” alle spalle.
Sinceramente non avevo più la disponibilità dei primi tempi, ma il mio lavoro lo svolgevo perchè, citando la Comencini, “mi piace lavorare”.
Ad ogni modo oggi che ho 40 anni e una cartella straripante di contratti, vedo un mercato del lavoro allo sfascio e molti giovani quarantenni come me presi per la gola.
Ha ragione Dario: è un mercato senza regole, frammentato, senza valori.
Ma io mi domando: si deve lavorare e basta (come fossimo animali da soma), o si deve lavorare per dare un VALORE alla propria vita?
Se la risposta è la seconda, allora molti (mercato, lavoratori, forze politiche) dovrebbero rivedere le proprie regole.
Perchè o si fa un ragionamento corresponsabile da più parti o, tra qualche anno, altro che crisi…!
Cara precaria, ma oggi anche chi ha un posto fisso e uno stipendio assicurato, non riesce con il lavoro a dare un VALORE alla propria vita.
Come vedi dalle cronache di questi giorni, mercato e forze politiche – che hanno creato questa crisi – non hanno nessuna intenzione di rivedere le proprie regole e di fare con i lavoratori “un ragionamento corresponsabile”.
Einstain, che non era proprio un cretino, diceva che chi provoca una crisi non può poi portare un cambiamento.
Noi, che evidentemente cretini siamo, non riusciamo a mettere in dubbio i valori del mercato e alle prossime elezioni voteremo per gli stessi politici.
Io no! Precaria sì, ma cretina no 🙂
Comunque qua non si tratta di fare una guerra tra poveri, tutti contro tutti, ci mancherebbe altro! Così lo sfascio sarebbe al completo.
Io tornerei a parlare di diritti e doveri nel mondo del lavoro e del mercato: sarebbe già bello riuscirne nuovamente a discutere.
E poi trovare dei politici che sappiano interpretare coscienziosamente i bisogni della gente, evitando il populismo, che è altro (chiedere a Berlusconi, maestro nell’intortare la gente).
Putroppo il nostro capo di Governo ha intortato benissimo anche una certa classe politica, diciamo così, di “sinistra”: chi non era disposto a farsi due risate col saltimbanco di Arcore è stato mandato fuori dall’emiciclo senza tanti riguardi: credo che molti ne attendano il ritorno.
Bella la lettera della precaria perchè racconta la propria vita guardando al futuro, un futuro comunque di speranza per i suoi e nostri figli. L’esatto opposto degli amministratori e politici che ci ritroviamo, attenti a occuparsi solamente dei propri personali affari di oggi. Falsi pragmatici, sempre sorridenti, ma sopratutto vecchi. Di fatto e di idee, senza un progetto per il futuro, trattano Gorizia come una loro personale proprietà, che muore con loro.