Ancora una tragedia nel Mediterraneo. Quanti hanno perso la vita per raggiungere la nostra “terra promessa”? Decine, centinaia di migliaia di esseri umani “dispersi” (come eufemisticamente dicevano i commentatori radiofonici questa mattina) nel deserto del Sahara e nel profondo del mare… Dimenticati da tutti, meno che dai loro cari in ansia ormai definitiva per la loro sorte. Quello che colpisce è anche l’assuefazione: eventi che vent’anni fa avrebbero portato immensi cortei sulle strade oggi vengono assimilati senza troppe angosce. Abbiamo assistito a violenze tremende in Africa, nel vicino Oriente, perfino a pochi chilometri da dove abitiamo; abbiamo visto i segni della fame e delle epidemie equatoriali facilmente curabili; abbiamo sentito i bollettini di guerra quotidiani con i “numeri” delle tante stragi dei migranti. Le risposte sono state le leggi Turco Napolitano aggravata dalla Bossi Fini, l’abolizione della legge regionale 5/2005 per favorire l’integrazione, le odiose prospettive discriminatorie e razziste che circolano nei governi nazionale e regionale, la rinascita della retorica militarista intorno agli “eroici ragazzi” che servono la molto armata pax capitalista. E il nostro sempre più imbarazzato e impotente silenzio…
“E il nostro sempre più imbarazzato e impotente silenzio …”. Che vuol dire? Impotente perchè? Perchè non può o perchè non vuole? Perchè non accoglie tutti o perchè non riesce a regolare i flussi all’invevitabile assalto al nord del mondo? E imbarazzato perchè? Perchè non sa trovare soluzioni credibili o perchè avverte il delinearsi di un possibile generale rifiuto alla sola ipotesi del principio di accoglienza? Ma se così fosse il percorso politico delle società affluenti del nord del mondo è già inevitabilmente segnato: uno sbocco a destra nell’illusoria sicurezza fornita dal riparo delle mura del fortino. E l’alternativa? Il buonismo dell’accoglienza, dell’apertura, del confronto e dell’incontro con una marea dilagante di richiedenti diritti di cittadinanza. Una cittadinanza che una volta acquisita userà la forza del diritto, certificato dal numero, per sovvertire i valori non del ’17 ma del lontano ’89, in virtù anche di una dimensione religiosa che si insinua fin nelle pieghe della società civile.
Forse varrebbe la pena di discuterne, o quanto meno di riflettere, anche a sinistra. Anche perchè – a volte – la provocazione ci sta.
Quello che si sente dire più spesso è che non ci sono risorse per gli italiani, figurarsi per gli stranieri!
Ed io mi domando, allora, se è possibile ridisegnare uno scenario in cui ci sia solidarietà sia per gli italiani che per i cittadini stranieri.
A partire dalla richiesta del rispetto delle regole per tutti, da una maggiore e più equa distribuzione delle ricchezze, da un utilizzo delle risorse che diventi opportunità per tutti e non guadagno per pochi.
Questa mi sembrerebbe una strada obbligata per riequilibrare i bisogni di una parte e l’altra del mondo e riuscire finalmente a considerarci cittadini del pianeta e non italiani, kosovari, marocchini, tunisini, albanesi, rumeni…
Impotente perché appunto incapace di individuare percorsi plausibili per affrontare un fenomeno che non è determinato dalle nostre opinioni o da un superficiale buonismo/cattivismo, bensì da processi culturali ed economici che richiedono studio e azione per modificare (secondo me rivoluzionare) un sistema giunto al capolinea della storia.
Imbarazzato perché tutte le grandi manifestazioni di piazza degli scorsi decenni contestavano e mettevano in guardia proprio da ciò che poi è puntualmente accaduto: come non chiedersi “a che cosa è servito”?
Non siamo stati capaci neppure di risolvere adeguatamente il problema di una sola persona che ha occupato una panchina dei Giardini. E non dovremmo essere tristi, imbarazzati e impotenti oppure non lasciarci interrogare da quelli che sono stati soltanto gli ultimi centinaia di morti nel Mediterraneo?