Fanno una certa impressione le foto di Silvio Berlusconi agghindato da partigiano con il fazzoletto tricolore al collo. E allora si sprecano le dichiarazioni ecumeniche: “25 aprile è una festa degli Italiani”, “la festa della Liberazione è la festa di tutti”, “il 25 aprile deve essere una festa che unisce” e via salmodiando. In questo coro fa specie la dichiarazione del boy-scout Segretario pro-tempore del Partito Democratico Dario Franceschini che su “La Repubblica” perentorio dichiara: “Ci ha ascoltato, ma ora non cambi la Carta da solo”. E perché mai? Sa bene che siete disposti a collaborare, ora che vi ha conquistati con il coup de théàtre della conversione ai valori della Resistenza. Nel coro mediatico nazionale non c’è una voce che si discosti dal santificare l’avvenuta riconciliazione di tutti gli Italiani nei valori della Festa della Liberazione, che Lui vorrebbe chiamare fin da oggi Festa della Libertà (meno male che non ha proposto Festa del Milan).
Tra il fior fiore del giornalismo italiano a nessuno è venuto in mente di osservare – anche timidamente – che la conversione del Cavaliere è stata così subitamente possibile proprio in virtù del fatto che Lui non possiede né ha mai fatto riferimento a “valori”, ma sempre ed esclusivamente a “interessi” e oggi – come ieri e l’altro ieri – il Suo specifico interesse è ottenere la benevolenza e l’attenzione di quel 50% degli Italiani che gli “rema contro”. Se ciò vuol dire fare passerella settimanale tra i terremotati di Abruzzo mobilitando le 5 televisioni e mezza che possiede o passeggiare a Onna con un fazzoletto tricolore al collo, allora ben venga il sacrificio. L’importante, anzi, l’essenziale e che il PdL superi il 50% dei consensi. E poi verrà il bello, anche per il povero Fini, oltre che per gli Italiani tutti.
Donald Lam
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