In questi giorni tutti i riflettori sono puntati sulla vicenda – tutt’altro che privata – ma invece totalmente pubblica della richiesta di divorzio della moglie di Berlusconi, se non altro per le considerazioni avanzate e rese pubbliche dalla signora Lario e cioè per le frequentazioni di minorenni da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri e perché quest’ultimo “è un uomo che non sta bene” . E’ difficile, in una democrazia che non abbia perso il rispetto per se stessa, ritenere queste considerazioni, che riguardano non solo un uomo pubblico ma il Presidente del Consiglio, un fatto privato. Questa vicenda, dunque, rischia di far passare in secondo piano la prossima tornata elettorale sia per le amministrative che per le elezioni europee, sulle quali comunque avrà un’influenza, e non a caso Berlusconi di questo anche si preoccupa. E oltre a ciò, ci sarà poi la tornata referendaria il 21 giugno. Ebbene, il Pd arriva all’appuntamento elettorale più disastrato che mai: per le amministrative siamo alla guerra per bande, che mettono a rischio la tenuta di città come Bologna e Firenze, per le europee ha pensato bene di candidare onorevoli e rispettabili pensionati della politica come Luigi Berlinguer e Sergio Cofferati (purtroppo), ma è all’appuntamento referendario che il PD dà il meglio di sé, totalmente pervaso da un cupio dissolvi che spinge i suoi leader a scegliere e indicare il voto per il sì. Un referendum che se raggiunge il quorum e prevalgono i sì regalerà per un altro ventennio, questa volta consecutivo, l’Italia a Berlusconi e al centrodestra. Un referendum in cui – mentre assegna il premio di maggioranza non più alla coalizione ma al partito che abbia raccolto più consensi, e quindi al PdL – non contempla la sola e unica modifica alla legge elettorale veramente democratica, e cioè il ripristino del voto con preferenza unica che consente la libera espressione della volontà dell’elettore. Il PD aveva appoggiato il quesito referendario allorché pensava – con Veltroni – di diventare il primo partito. Ma ora – astuzia della sorte – appoggiarlo diventa un suicidio politico, ma i vertici, dal boy-scaut Franceschini al “pragmatico” Bersani, non demordono e si esprimono per il sì. Ma almeno in questa sperduta provincia del profond nord, in nome anche del conclamato federalismo, c’è almeno una voce che si dica contraria e coerentemente inviti gli elettori a disertare l’appuntamento elettorale?
Donald Lam
P.S. In cuor loro quelli de PD sperano – senza dirlo – che il 21 giugno non si raggiunga il quorum. Ma, si sa, il diavolo fa le pentole, ma non sempre i coperchi.
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