Ieri era a Gorizia Lidia Menapace, una colonna del pacifismo – o, come direbbe lei, del metodo nonviolento per la risoluzione dei conflitti – italiano degli ultimi cinquant’anni… Incontro interessante, nel corso del quale le due parole più ricorrenti sono state “laicità” e “anticapitalismo”. L’impressione è che siano concetti svuotati del loro significato, stanchi slogan rassegnati di fronte ai reiterati trionfi del capitalismo e degli integralismi religiosi (di tutti i colori). Infatti alla domanda sull’alternativa alla sacralizzazione della politica e al sistema economico attuale le risposte sono vaghe e incerte: no all’inserimento delle “radici cristiane” nella Costituzione europea, guardare a Obama ma con dei distinguo (quali non si è capito bene), risvegliare la coscienza delle masse (come?) ma puntare con tutte le forze a raggranellare il 4 %… Un po’ poco nel momento in cui sembra che quasi il 50 % degli italiani rinforzeranno ulteriormente la compagine di governo che respinge a casa i richiedenti asilo contro il parere dell’Onu, che rifiuta l’iscrizione anagrafica ai figli degli immigrati irregolari, che esalta un premier dichiarato dalla magistratura corruttore, che contrasta la multiculturalità, che fa finta di non vedere la crisi e imbavaglia l’informazione…
E se considerassimo laicità e anticapitalismo come due parole morte? E se considerassimo morta la sinistra? Almeno per come la conosciamo oggi, nel modo in cui è finita ad assorbire l’ideologia dominante, che condiziona i nostri pensieri e i nostri atti.
Se questa ideologia non ci fosse e noi non pensassimo che l’affermazione individuale e il far soldi è il valore primario e la premessa necessaria della felicità, riscopriremmo la gioia dello stare e del fare qualcosa insieme per un comune destino. Se non pensassimo che la nostra civiltà occidentale è la migliore del mondo ci interesserebbe comprendere gli altri, conoscere le loro culture, capiremmo che non ha senso essere cattivi (ma non ha senso nemmeno essser buoni) con gli immigrati che fuggono dalla fame. Se non pensassimo che sviluppo significa aumentare la quantità di merci (e quindi di ricchezze materiali) prodotte, scopriremmo che sviluppo può significare invece crescita della capacità di comprenderci, di conoscerci, di amarci, di contribuire allo sviluppo di tutti.
Destra e sinistra nelle politiche economiche, in quelle per il lavoro, per la casa e per il territorio, dove, come, in che cosa si sono differenziate negli ultimi 15 anni?
Se considerassimo morta questa sinistra potremmo costriuire e collaborare con quanti si sforzano di costruire una politica nuova contro questa ideologia dominante nella quale siamo sprofondati. Una politica fatta di un insieme di principi, di priorità, di regole, di speranze, alternative rispetto a quelle che ci condizionano (e ci opprimono) per “camminare verso un nuovo modello socio economico”.
Un bell’articolo di Ida Dominianni sul Manifesto di un paio di giorni fa (lo si trova facilmente in internet) parla di morte della sinistra e di elaborazione del lutto come premessa necessaria per fare in modo che alla sinistra capiti di “imparare di nuovo ad amare”
paolo
Che la sinistra debba essere compiutamente ripensata è fuor di dubbio. Ma che per ripartire da zero sia utile, giusto, corretto buttare, con l’acqua sporca, anche il bambino non mi pare proprio il caso. Nella buona sostanza intendo dire che non mi convincono per nulla coloro che pensano e invocano una palingenesi totale, con l’estinzione prima e la ressurezione poi del pensiero e dell’agire della sinistra. Una sinistra miracolata che come per incanto risorge dalle proprie ceneri. Che significa “considerare laicità e anticapitalismo come due parole morte” oppure “lasciare ad una nuova classe politica il compito di ricominciare da zero”? Come se una nuova classe politica possa nascere senza i necessari riferimenti teorici per una lettura aggiornata della società italiana e dotata di adeguati supporti organizzativi. Ovvero negando valore al concetto di laicità e validità ad una lettura anticapitalista della realtà esistente. A tal proposito, a me pare che la sola compiuta lettura anticapitalista della società e del dispiegarsi dei suoi tanti fenomeni sociali rimanga ancora quella marxiana. Certo è che gli strumenti operativi non possono più essere quelli del XX secolo e del socialismo reale, ma tra il buttare gli strumenti e le ragioni teoriche che li ispirano e che li rendono di certo storicamente necessitati – con ciò intendo che alle crisi succedutesi nel “secolo breve” si è risposto, da sinistra, con gli strumenti operativi propri di quella realtà strutturalmente codificata – io credo ce ne corra. Non foss’altro pechè si corre il rischio reale di non distinguere più tra destra e sinistra, così superando quella distinzione fondamentale che caratterizza il pensiero politico moderno. E, per dirla con un pensatore politico quale è stato Norberto Bobbio: allorquando viene meno, si annacqua, si diluisce il concetto di uguaglianza/solidarietà – che della sinistra ne costituisce il cardine e il discrimine – è allora che si perdono le ragioni della sinistra. Un rischio che comunque non vale la pena di correre.
dielle
le vecchie femministe hanno detto una cosa che mi trova concorde, paragonando il corpo di Eluana alla sinistra: quello che noi stiamo facendo è accanimento terapeutico e noi elettori siamo in una situazione paradossale: se vince la sinistra ( idue tronconi) penseranno che hanno ognuno ragione, se perdono, continueranno a darsi la colpa.Insomma non vedo possibilità con quello che c’è. In quanto a Marx, che io conosco molto bene per averlo letto e riletto, non posso che fare un’osservazione banale: certe cose sono giuste, altre no. Sicuramente l’idea del conflitto di classe è ancora valida ed abbandonarla ci ha portato ad un arretramento, sbagliate sono molte cose, tra le quali pensare che la classe operaia potesse essere quella intermodale, cioè quella che ci avrebbe portato in una nuova società. Insomma la serietà, se si vuole affrontare un problema, è quella di conoscere ciò di cui si parla e vedere cosa si può riutilizzare e cosa va buttato. Agire come una brava massaia, che, quando è Natale, sa anche tirare il collo al tacchino. adg
Adg sostiene perentoria e a ragione che che “la serietà, se si vuole affrontare un problema, è quello di conoscere ciò di cui si parla e vedere cosa si può riutilizzare e cosa va buttato”. Appunto, è proprio così!
E allora proviamo a partire da questo comune minimo denominatore e proviamo ad individuare ciò che va salvato e ciò che è da buttare. L’importante, e mi ripeto, è non buttare con l’acqua sporca anche il bambino.
Circa poi la “brava massaia” che fa del senso e delle usanze comuni e consolidate il suo metro d’azione, mi permetto di ricordare che la previsione di Lenin che nella fase del comunismo compiuto lo Stato avrebbe potuto essere retto – appunto – dalle semplici competenze e saperi di una massaia, ha trovato storiche e reali smentite.
un affezionato dielle
La “brava massaia” avrebbe potuto dirigere la sovrastruttura statale nella fase del comunismo compiuto
L’ultima frase che compare nel commento è – ovviamente – un refuso
dielle
Concordo anch’io con adg e con paolo, occorre approfondire bene gli argomenti. Concordo anche con dl, anche se a volte secondo me confonde l’obiettivo di un post su un blog con quello di un saggio o trattato filosofico politico… Io in effetti non volevon buttare via il bambino insieme all’acqua sporca, infatti scrivevo più semplicemente che un passo indietro di personaggi come Vendola e Ferrero (che peraltro a livelo umano mi stanno anche simpatici) favorirebbe un impegno più costruttivo e decisivo da parte delle nuove generazioni che non sono per niente a digiuno di politica e che possono portare un contributo decisivo alla sinistra, se sono messi in condizione di contare qualcosa…
Ripartite da zero è un modo di dire, se si vuole si può dire da 3,5, che è la percentuale della Sinistra arcobaleno. Ribadisco invece che certe parole sono vuote, al punto che sono usate tranquillamente da tutti come slogan senza alcun contenuto: “laicità” (usato anche da Ratzinger), “anticapitalismo” (usato frequentemente anche da Forza Nuova), anche “uguaglianza” (fondamento delle rivoluzioni borghesi), “solidarietà” (usato anche da Fini, Gasparri e Maroni). Se non diamo un contentuo a questi paroloni vincerà sempre chi vorrebbe un buon pranzetto di Natale, a base di capponi e di tacchini… ab