Hanno anche il coraggio di lamentarsi! Come possono parlare i vescovi italiani di vergogna o come può la Gelmini promettere di impugnare la sentenza che esclude gli insegnanti di religione dalla responsabilità di decidere la promozione o la bocciatura degli studenti?
In primo luogo è sempre stato così dal Concordato del 1984 e dall’intesa applicativa del 1985: dal momento che l’ora ”alternativa” alla religione non era e non è obbligatoria lo studente che si avvale dell’Insegnamento della religione cattolica (Irc) risulterebbe evidentemente avvantaggiato da una valutazione che si presume almeno ordinariamente positiva.
Ma in secondo e più importante luogo i vescovi e la Gelmini dovranno prima o poi ammettere che l’esistenza dell’Irc è un privilegio inaccettabile in uno Stato laico: non si vuole mettere in discussione in alcun modo la competenza e la professionalità di gran parte dei docenti, tuttavia resta insoluto il nodo giuridico fondamentale.
Come è possibile che un incarico lavorativo pagato dallo Stato possa essere condizionato in modo determinante da un’idoneità dichiarata in modo temporaneo o permanente da un’autorità religiosa? E’ evidente il vantaggio di chi viene nominato rispetto a chi deve passare attraverso l’abilitazione ordinaria come pure la minaccia alla libertà di insegnamento ma anche di scelte esistenziali per chi è tenuto “a eccellere per ortodossia dottrinale, testimonianza coerente di vita cristiana e competenza professionale” (così recita il testo dell’idoneità).
Non il fatto religioso e la sua influenza – fasta e nefasta – sulla storia culturale, bensì l’Irc è istituzione da riformare in senso autenticamente laico, democratico e consono agli ordinamenti di una scuola dagli orizzonti europei.
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