E’ stato uno di quei rari eventi dei quali ci si ricorda in che posto ci si trovava nell’istante in cui si verificavano: l’attentato alle Twin Towers con l’ossessiva ripetizione delle immagini, gli aerei che entravano nelle finestre degli edifici simbolo del capitalismo mondiale, la fuga precipitosa della gente, i vigili del fuoco, il tracollo dei grattacieli polverizzati…
Nell’era della spettacolarizzazione la “quantità” di notizie comunicate è inversamente proporzionale alla possibilità di avvicinarsi all'”evento in quanto tale”: esso rimane infatti nascosto da una cortina fumogena (in questo caso anche reale!) che rende possibile qualsiasi interpretazione, ricostruzione attendibile o anche soltanto analisi statistica. Veline governative palesemente contraffatte (il giorno dopo durante una trasmissione televisiva l’allora ministro Scajola assicurava ad esempio che la cifra “ufficiale” era di “oltre 20.000 morti”) competono con leggende metropolitane (tipo “gli ebrei avevano lasciato le torri qualche minuto prima dell’attacco”) che nessuno si preoccupa di verificare.
Se poi qualcuno (ad esempio il giornalista Ettore Mo) tira fuori dal cassetto i programmi elettorali della prima amministrazione Bush e vi trova scritto praticamente tutto quello che poi è accaduto nessuno gli bada più di tanto: l’inflazione delle immagini e dei commenti porta a un’inevitabile svalutazione del “documento”.
In quel giorno “tutti eravamo americani”, solidarizzavamo con la povera gente colpita, con le famiglie distrutte… La guerra infinita scatenata dal giorno dopo ha provocato soltanto tra i soldati statunitensi il doppio delle vittime dell’11 settembre e tra la popolazione civile dell’Afghanistan e dell’Iraq cento morti per ogni caduto delle torri gemelle. Andare in giro per il mondo è molto più pericoloso e i problemi endemici della fame, dell’analfabetismo, delle malattie, del mancato accesso all’acqua si sono di gran lunga aggravati nonostante gli ottimistici “obiettivi del Millennio”.
Grazie non soltanto a Bush, ma alle multinazionali planetarie, agli americani che l’hanno tenuto in sella per otto anni, ai suoi “amiconi” italiani e goriziani che hanno applaudito gli interventi militari e a tanti tanti altri che se non altro hanno taciuto. L’11 settembre poteva segnare una svolta epocale per la storia del Pianeta, il gigante colpito avrebbe potuto curare i problemi globali con il sangue delle sue ferite.
Non è stato così e se dall’amministrazione Obama non giungeranno segnali concreti incoraggianti non ci resterà altro che attendere la prossima – presumibilmente tragica – puntata.
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