L’articolo di Roberto Covaz di qualche giorno addietro, in occasione della presentazione del libro di Dario Stasi “Intorno a Gorizia”, ha avuto il pregio – tra l’altro – di avviare un dibattito teso a favorire l’abbattimento di quel “muro” nella cultura goriziana che ancora persiste. In questo contesto, tuttavia, non è sufficiente un ecumenico “volémose bene”, un auspicio general-generico ad un mutuo riconoscimento nelle e delle numerose iniziative messe in cantiere dalle due anime della società goriziana: quella di centrodestra e quella di centrosinistra (senza ulteriori, e magari ingombranti, definizioni). Occorre, invece, un progetto culturale di ampio respiro che sia in grado di trasformare la memoria del passato (del passato di tutti, intendo) in un coivolgimento attivo di tutte le comunità che vivono nell’ampio territorio del Goriziano (quello dei viaggi di Stasi, appunto). Ebbene, se così è, a me paiono del tutto fuorvianti le parole dell’assessore Devetag che, nel mentre propone una corealizzazione (con il Kulturni Dom, pare di capire) del prossimo festival del jazz initolato ad Ermi Bombi, così commenta le parole di Igor Komel, direttore del Kulturni Dom, che si era detto deluso dal fatto che il cartellone del Verdi non presentasse uno spettacolo di lingua slovena: “sarebbe un segnale rilevante soltando dal punto di vista simbolico, come quello di fare il Capodanno alla Transalpina. Ma Gorizia ha vivacchiato per decenni su sterili miti e simbologie di parte”. Se queste sono le parole, e lo sono, c’è da chiedersi cosa intenda l’assessore Devetag allorchè si dice “pronto a collaborare con la comunità slovena”. Forse intendeva dire di essere pronto a (con)dividere le spese per l’organizzazione del festival del jazz. Se il Capodanno alla Transalpina, per altro indicato come luogo simbolo anche dall’amministrazione di Nova Gorica che si è detta disposta ad una iniziativa comune, diventa una “simbologia di parte” e se uno spettacolo in lingua slovena al Verdi diventa “rilevante soltanto dal punto di vista simbolico”, dimenticando la reale presenza in città di una minoranza slovena dinamica e produttiva che ha sì i suoi teatri e i suoi luoghi di incontro, ma che credo possa essere “ricevuta” senza scandalo anche nel salotto buono della città, dove , per l’occasione, si parla sloveno, allora credo che serviranno ancora molti altri articoli di Roberto Covaz, nella speranza – alla fine – di abbattere quel muro, altrove caduto giusto vent’anni fa.
Dario Ledri
Ma cosa vi aspetatte da quei fascisti?
Quanto a Covaz, lasciamo perdere che è meglio…