La questione del crocifisso a scuola è per molti un minimo problema; in realtà, come è peraltro affermato anche nella famosa sentenza della Corte Europea, è una questione importante perché investe la più ampia discussione riguardante i rapporti tra culture, religioni e ordinamenti statali. Il sindaco Romoli afferma “da laico” che il crocifisso rappresenta i valori di una tradizione culturale, sostenendo esattamente il contrario di ciò che dice la Sentenza secondo la quale il crocifisso “ha un evidente valore religioso predominante”. Sono concordi con la Corte europea anche molti cristiani di altre confessioni e molti cattolici che si sentono menomati dalla riduzione del simbolo della loro fede ad “arredo scolastico”; essi si sentono offesi dall’indifferenza di chi si chiede “che fastidio dà” la memoria di un uomo che è morto sulla croce proprio perché dava un immenso fastidio ai sostenitori della tradizione culturale del suo tempo.
Meno motivata la posizione di Romoli: quali sono i “valori culturali” cui rimanda il crocifisso? Forse gli ideali evangelici della nonviolenza, dell’amore e del perdono incondizionato al nemico, dell’accoglienza senza confini dell’altro – in particolare del povero e del forestiero? La sua parte politica non sembra particolarmente attratta dalla realizzazione di questi principi.
Oppure i valori culturali sono quelli che hanno generato le cattedrali, le summae medievali e la “rete” culturale benedettina? O quelli dei conquistadores cattolici che in nome dello stesso crocifisso hanno devastato l’America del Sud con la convinta benedizione del Papa e dei re cattolici o ancora quelli che hanno scatenato i pogrom nelle principali città europee accusando gli ebrei di essere deicidi? O quelli testimoniati da un san Francesco e dal suo amore per “Madonna povertà”? O quelli di un politico regionale che un paio di anni fa sosteneva di voler cacciare con il crocifisso gli immigrati dalla sua provincia?
La storia del cristianesimo alterna pagine gloriose e tragiche, ma la sua verità più profonda riguarda la fede di chi l’accoglie, non l’ostentazione pubblica dei suoi simboli il cui criterio non a caso si è modificato nel tempo a seconda dei diversi contesti culturali: nello Stato laico e nella società plurale il crocifisso non può essere emblema di una tradizione opposta a un’altra, deve essere ciò che immediatamente è, un simbolo religioso scolpito anzitutto nel cuore delle persone. Proprio come era nella tradizione cristiana fondante, quella di quei primi quattro secoli nel corso dei quali un fedele che avesse osato rappresentare Cristo in croce sarebbe stato considerato un sacrilego provocatore…
Sarebbe bene che la Chiesa non si lasci affascinare da coloro ai quali del crocifisso non importa proprio nulla, se non “usarlo” per consolidare il proprio potere…
Sull'argomento si segnala un interessante articolo di Marco Travaglio su Il Fatto quotidiano, numero 38 del 5 novembre 2009. Per motivi tecnici viene diviso in tre distinti commenti:
Dipendesse da me, il crocifisso resterebbe appeso nelle scuole. E non per le penose ragioni accampate da politici e tromboni di destra, centro, sinistra e persino dal Vaticano. Anzi, se fosse per quelle, lo leverei anch’io.
Fa ridere Feltri quando, con ignoranza sesquipedale, accusa i giudici di Strasburgo di “combattere il crocifisso anziché occuparsi di lotta alla droga e all’immigrazione selvaggia”: non sa che la Corte può occuparsi soltanto dei ricorsi degli Stati e dei cittadini per le presunte violazioni della Convenzione sui diritti dell’uomo. Fa tristezza Bersani che parla di “simbolo inoffensivo”, come dire: è una statuetta che non fa male a nessuno, lasciatela lì appesa, guardate altrove. Fa ribrezzo Berlusconi, il massone puttaniere che ieri pontificava di “radici cattoliche”. Fanno schifo i leghisti che a giorni alterni impugnano la spada delle Crociate e poi si dedicano ai riti pagani del Dio Po e ai matrimoni celtici con inni a Odino. Fa pena la cosiddetta ministra Gelmini che difende “il simbolo della nostra tradizione” contro i “genitori ideologizzati” e la “Corte europea ideologizzata” tirando in ballo “la Costituzione che riconosce valore particolare alla religione cattolica”. La racconti giusta: la Costituzione non dice un bel nulla sul crocifisso, che non è previsto da alcuna legge, ma solo dal regolamento ministeriale sugli “arredi scolastici”.
Seconda parte
Alla stregua di cattedre, banchi, lavagne, gessetti, cancellini e ramazze. Se dobbiamo difendere il crocifisso come “arredo”, tanto vale staccarlo subito. Gesù in croce non è nemmeno il simbolo di una “tradizione” (come Santa Klaus o la zucca di Halloween) o della presunta “civiltà ebraico-cristiana” (furbesco gingillo dei Pera, dei Ferrara e altri ateoclericali che poi non dicono una parola sulle leggi razziali contro i bambini rom e sui profughi respinti in alto mare).
Gesù Cristo è un fatto storico e una persona reale, morta ammazzata dopo indicibili torture, pur potendosi agevolmente salvare con qualche parola ambigua, accomodante, politichese, paracula. È, da duemila anni, uno “scandalo” sia per chi crede alla resurrezione, sia per chi si ferma al dato storico della crocifissione. L’immagine vivente di libertà e umanità, di sofferenza e speranza, di resistenza inerme all’ingiustizia, ma soprattutto di laicità (“date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”) e gratuità (“Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”).
Sembra un altro tassello nel mosaico che mostra una parabola discendente della croce dalla simbologia più diffusa: il CROCifisso tolto dalle scuole, il simbolo della Croce Rossa non più una CROCe ma un esagono, il codice della strada che ha ribattezzato gli "inCROCi" con il termine "intersezioni"…
Il povero Cristo ha superato persecuzioni, barbarie, scismi, rivoluzioni ecc. Ce la farà a prevalere anche ora?