Continua il silenzio degli amministratori goriziani intorno all’intervista di Roberto Covaz a Giampiero Fasola. Tacciono il sindaco e i membri della sua Giunta, tacciono anche i partecipanti all’esperienza del Korda i cui atti – secondo Fasola – non hanno sortito altro effetto che quello di contribuire al raddoppio della spesa prevista per la ristrutturazione del san Giovanni di Dio, tacciono i consiglieri comunali di maggioranza che sembra avessero in mente azioni sensazionali poi disperse nel nulla, tacciono i rappresentanti della Provincia direttamente chiamati in causa come amministratori di un “ente inutile”, tacciono quelli che sono stati definiti “i sacerdoti dell’unità provinciale”… I principali riscontri politici sono per ora quelli del Prc che ripercorre la storia della sanità goriziana, di Roberto Sartori, Bernardo De Santis e di Giacomo Pantanali che contesta la ricostruzione dei legami passati tra Gorizia e Monfalcone.
Quali sono i motivi di questo evidente imbarazzo? Sicuramente ce ne sono, alcuni forse difficili da capire senza approfondire i legami passati fra scelte politiche di diverso segno e situazione attuale del territorio goriziano; altri sono più evidenti, primo fra tutti il fatto che Fasola non parla a vanvera ma evidenzia problematiche complesse riportando fatti e dati: certo, tutti da verificare e da discutere, ma anche da prendere in seria considerazione. Lasciarsi provocare dall’interessante intervista non può corrispondere soltanto a uno sterile stracciarsi le vesti perché qualcuno ha messo per iscritto ciò che molti pensano e non hanno il coraggio di dire; vuol dire piuttosto interrogarsi sui percorsi soprattutto presenti della città di Gorizia e della sua provincia individuando con coraggio e creatività una politica in grado di ridare forza e dignità al capoluogo e a tutti gli altri centri.
E su questo – sulla strada da seguire -l’impressione è che prospettive ce ne siano molto poche, almeno nelle attuali “stanze dei bottoni”. Forse per questo la mancanza di reazioni da parte degli amministrazioni altro non sembra che una manifestazione del detto “poche idee ma ben confuse!”
Quello che colpisce in questa vicenda è l'assordante silenzio di quel ceto politico che stabilmente occupa la scena in città e provincia. Non lo fa il sindaco Romoli, che pure dovrebbe per ruolo e funzione prendere le difese della città che rappresenta, tentando almeno di articolare una risposta coerente alle accuse di Fasola. E non lo fa perchè con Fasola è stato il principale artefice dell'affossamento dell'ipotesi di cittadella sanitaria transfrontaliera. Non lo fa l'ex sindaco Valenti, quello che "opportunamente" sollecitato dall'allora assessore regionale Romoli, mutò subitamente opinione circa la difesa della sanità goriziana facendo propria la scelta del San Giovanni di Dio. Non lo fa il presidente della Provincia Gherghetta che non difende nemmeno l'ente che lui stesso presiede e che della riforma della sanità di ispirazione fasoliana era convinto assertore , se non altro perchè dotava Monfalcone di un ospedale degno di questo nome. Ma curiosamente non lo fanno nemmeno altri rappresentanti del centrosinistra a partire da Brancati, o da Brandolin, presidente per due mandati della Provincia e non si sente nemmeno una voce dal Comitato per la DIfesa dell'Ospedale, che pure ha condotto una coerente battaglia lunga più di un decennio. C'è, insomma una afasia assoluta del ceto politico goriziano sulle questioni sollevate da Fasola, che aveva – peraltro – avanzato una precedente "provocazione" alla fine di novembre ottenendo lo stesso assordante silenzio. E allora le alternative non sono infinite, ma si riducono al massimo a due o tre possibilità: la prima, Fasola ha ragione da vendere ma non lo possiamo dire, nemmeno a difesa delle istituzioni che rappresentiamo. In questa ipotesi, al di là delle ragioni obiettive dell'interlocutore resta la viltà politica del nostro ceto politico. La seconda: Fasola dice cose non vere o comunque documentalmente constestabili, ma alcune sue scelte operative dai nostri politici sono state a suo tempo ampiamente condivise, e allora è meglio tacere. Terza ipotesi: Fasola, oltre all'usuale livore nei confronti di Gorizia e della sua classe politica, dice anche cose che meriterebbero una risposta politica, quantomeno una riflessione, almeno il tentativo di una elaborazione un poco approfondita sulle problematiche che solleva. Ma ciò presuppone l'esistenza di una classe politica goriziana almeno degna della tradizione, di quella che ha dato alla città un Martina, un Cocianni, un Cesare Devetag, un Tripani, oppure su di un altro versante politico un Battello, una Gianna Pirella, un Darko Bratina. Ecco, la risposta è che questa classe politica non c'e e che per il momento dobbiamo accontentarci dei Romoli, dei Valenti, dei Gherghetta e, per il recente passato, dei Brancati. Che poi con questi politici la città sia in declino e il mantenimento dell'autonomia provinciale fortemente a rischio, è nella logica delle cose.
Dario ledri