L’odierna commemorazione si configura come un rito, cioè un’azione simbolica che attraverso gesti e parole rende nuovamente presente un evento importante per un popolo, per un gruppo umano, per una nazione.
Senza memoria dell’evento la festa non genera più il suo significato e perde la sua connotazione di valore fondante la storia nazionale e l’identità collettiva.
Molti propongono di celebrare semplicemente “la fine della seconda guerra mondiale”, dimenticando che essa continua fino all’inizio di maggio in Germania, che anche nel nostro territorio allunga i suoi funesti tentacoli almeno fino al mese di giugno e che in Giappone deve ancora produrre i suoi terribili botti finali con le bombe atomiche gettate il 6 e il 9 agosto sulle inermi città di Hiroshima e Nagasaki.
Altri, in nome di un malinteso senso della parola riconciliazione, vorrebbero trasformarla nel ricordo “di tutti i caduti” affratellati dalla morte che non distingue vinti e vincitori: mentre invece la pietà e il perdono presuppongono il riconoscimento della colpa, atto fondativo senza il quale non è possibile un’autentica relazione costruttiva tra i sopravvissuti.
La commemorazione del 25 aprile è invece la “Festa della Liberazione”, e tale deve rimanere se non si vuole rifiutare il percorso storico degli ultimi 65 anni e soprattutto se non si vuole essere risucchiati nelle stesse forme razziste e violente che hanno caratterizzato la prima metà del Novecento.
E’ la Festa della Liberazione dal fascismo e dal nazismo ovvero dalle ideologie che hanno voluto, preparato e scatenato la seconda guerra mondiale; che in nome della razza hanno organizzato lo sterminio degli ebrei, dei rom, delle persone con disabilità fisiche e mentali; che hanno sistematicamente conculcato la libertà individuale e perseguitato l’oppositore politico, che hanno trascinato e infangato interi popoli in una deriva violenta e assassina.
I protagonisti della Resistenza non erano semplicemente “dalla parte dei vincitori”, ma da quella degli oppressi e da quella di coloro che avevano subito le scelte funeste dei propri capi. Ed è grazie alla loro testimonianza e al loro coraggio che sono state scritte le indimenticabili (ne senso che non si devono dimenticare!) pagine della nostra Costituzione Repubblicana; che in Italia si è vissuto un lungo periodo nel quale la guerra, la miseria e la fame sono rimaste soltanto nel cassetto dei ricordi dei padri.
Per questo più che mai oggi è necessario riappropriarsi del vero senso della Festa della Liberazione e ripetere con forza il vecchio slogan: ora e sempre Resistenza!
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