Che lo scandalo dei preti pedofili stia preoccupando molto la gerarchia della chiesa cattolica è dimostrato dal reiterato appello ad essere solidali con il Papa espresso perfino dal cardinale Sodano all’inizio della celebrazione solenne della liturgia pasquale in san Pietro. Per restare “a casa nostra” un testo sull’argomento pubblicato su questo blog ha avuto l’onore di due implicite citazioni in altrettante omelie pronunciate il giovedì e il venerdì santo.
Invece di “fare cerchio” intorno ai vertici dell’Istituzione non sarebbe stato meglio solidarizzare con le vittime non con generici(e tardivi) stracciamenti di vesti ma approfondendo le ragioni psicologiche e culturali di un fenomeno così notevole?
C’è la questione del celibato, che non è certamente la causa della pedofilia, ma può essere una concausa del clima di insoddisfazione esistenziale nel quale si alimentano le degenerazioni della psiche: nessuno nega che sia un “consiglio evangelico” e che per molte persone che l’hanno scelto sia un’autentica esigente forma d’amore; né si mette in discussione il fatto che molti preti offrono in ogni parte del mondo una spesso straordinaria e eroica testimonianza di fede e di dedizione al prossimo. Ciò che crea disagio è l’imposizione – questa non certamente evangelica ma storica – dello stato di vita celibatario al sacerdote della chiesa cattolica latina: come già scritto, “non tutti, ma certamente molti” vivono questa situazione con un profondo malessere che in certe particolari condizioni può alimentare delle patologie.
E c’è anche la questione del “Sacro” inteso non antropologicamente come “il mistero tremendo e affascinante” (R.Otto) bensì soltanto come il “clericale” cioè “separato” dal profano. Non basta scaricare la colpa sulla fragilità del singolo dal momento che questi compie atti criminosi proprio in forza della percezione della propria “sacralità”: non si tratta solo di un peccato e di un reato individuale del quale rispondere di fronte a Dio e alla Legge, bensì dell’approfittare della propria condizione percepita come “sacra” per realizzare i propri squallidi interessi.
Il Vangelo presenta la figura di Gesù come quella di un vero e proprio de-sacralizzatore. Si dimostra capace di accogliere senza traumi i contesti religioso culturali del suo tempo; ma contesta con decisione l’appropriazione del “sacro” da parte della casta sacerdotale, lo sfruttamento dei poveri costretti a costosi sacrifici, la localizzazione del divino nel tempio di Gerusalemme o in qualche santuario sulle colline. Non esistono oggetti, animali e persone “sacre”, c’è solo la responsabilità di intensamente vivere e servire i poveri, fino al dono della stessa propria vita: “avevo fame e mi hai dato da mangiare, avevo sete e mi hai dato da bere, ecc.”. Anche se non si è compresi da nessuno e se si rimane soli su una croce.
ab
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