Molti “evasi” dal Cie di Gradisca sono stati ripresi. Dove si trovano adesso? Secondo logica dovrebbero essere riportati nel Cie, dal momento che non essendo giuridicamente un carcere la loro fuga non potrebbe essere considerata reato. E’ vero che ci sono stati danneggiamenti e che si parla di resistenza a pubblico ufficiale: ciò giustificherebbe il trasferimento diretto in carcere. E così… così la nostra vecchia “Barzellini”, gravata da cronici enormi problemi strutturali, di sovraffollmento e di carenza d’organico si trova ad affrontare l'”accoglienza” delle persone che erano state trattenute al Cie. Ci si può solo immaginare la situazione: con un numero sempre più esiguo di agenti è necessario far fronte a proteste originate in tutt’altri contesti, episodi gravi di autolesionismo, richieste impossibili da soddisfare e così via…
Insomma, il Cie “nato” secondo la Bossi Fini (ma generato dalla Turco Napolitano!) anche “per garantire maggiore sicurezza” ai cittadini è diventato al contrario un luogo sempre meno sicuro e una fonte di insicurezza per tutto il territorio. Il carcere, che dovrebbe servire a ricostruire la vita di chi ha sbagliato, è ridotto a un indecoroso “deposito” di poveri costretti a vivere in condizioni disumane dove gli spazi esigui non consentono di realizzare oltre la mera punizione che ben pochi altri progetti riabilitativi. E deve essere mantenuto così, in queste condizioni, perché non ci sono fondi per costruire una struttura migliore o per incrementare l’organizo, ma anche perché se fosse chiuso “potrebbe decretare la fine del Tribunale di Gorizia” (virgolettato da una dichiarazione del sindaco Romoli – che ha contestualmente affermato di “non conoscere la situazione interna” – in Consiglio Comunale).
E’ fin troppo facile e altrettanto amaro pensare a un “l’avevamo detto!” che denuncia tutte le politiche sull’immigrazione (e sul carcere) portate avanti negli ultimi dieci anni dai Governi e dalle amministrazioni di destra e di sinistra. Uno dei tanti motivi per incrementare la convinzione secondo la quale una “nuova” politica in Italia presuppone l’allontanamento dalle “poltrone” di gran parte della “classe” che “decide” da venti, trenta, perfino quaranta e cinquanta anni il destino del Paese e dei suoi enti locali.
Rispondi