Parola di “no global”? No, parola del vescovo di Rovigo, transitato in visita a Gradisca per rendersi conto di persona di cosa attende la sua città dove tra breve dovrebbe sorgere un centro analogo.
Bravo il monsignore, intraprendente nel varcare una soglia per lo più “proibita” e coraggioso nel dire pane al pane e vino al vino…
Il Cie non è una calamità naturale, non è spuntato come un fungo dal terreno: è frutto di una serie di scelte politiche, di leggi nazionali approvate dal centro sinistra (Turco – Napolitano) e dal centro destra (Bossi – Fini). Decisioni una decina d’anni fa contestate dai movimenti di base che avevano organizzato iniziative d’ogni genere per scongiurare prima la costosissima costruzione del “Centro”, poi l’apertura e infine la detenzione delle persone irregolarmente presenti sul territorio nazionale.
Forse se quella volta la società civile avesse dimostrato maggior coraggio, se la Caritas non avesse chiuso il proprio centro d’accoglienza un mese prima dell’apertura dell’allora chiamato Cpt, se con i giovani dei movimenti avessero marciato più rappresentanti delle istituzioni culturali e religiose, se qualche “vip” avesse proferito dieci anni prima la parola “lager”…
… forse oggi il centro di identificazione ed espulsione non esisterebbe, forse oggi alcuni dei contestatori non sarebbero sotto processo per i fatti di quei tempi o almeno sarebbero accompagnati “alla sbarra” da ben altro interesse da parte della pubblica opinione.
Ma, si sa, della scienza del poi sono piene le fosse; e adesso ci si deve accontentare della ovviamente anticostituzionale campagna d’autunno dei leghisti locali in nome della cristianità, “contro i minareti in Friuli Venezia Giulia” e della speranza che dalla Chiesa cattolica regionale arrivi un “distinguo” ufficiale, quanto mai urgente e opportuno.
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