In esclusiva per questo blog la compagnia dei transalpini pubblica l’atteso racconto a puntate
“Non è un paese per caprioli”.
Come ogni mattina appena alzato dal letto il bambino si affacciò alla finestra, quella con la vista sul giardino dietro casa. Il capriolo era lì. Anche quel giorno era lì nel prato, arrivava presto con le prime luci del giorno e, dopo aver fatto il solito giretto, sarebbe rientrato nel bosco per poi risalire tranquillamente la collina del castello.
Come tutte le mattine Pier Ettore, il bambino, alzò la manina, fece un cenno all’amico capriolo che sembrava aspettare quel suo saluto e andò allegramente a fare colazione. Non sapeva ancora che sarebbe stata l’ultima volta che poteva salutare quel magnifico animale dagli occhi gentili che ormai era diventato suo amico.
Quella stessa mattina iniziarono i lavori, in un batter d’occhio il bosco fu invaso da ruspe, macchine scavatrici e camion. Un bosco – dissero – che non valeva niente, acacie di scarso valore, sottobosco infestante, un luogo inutile, praticamente abbandonato. Alcuni giorni dopo Pier Ettore lesse sul giornale locale che “un bosco abbandonato è una delle peggiori fonti di inquinamento”. Però a scuola la maestra gli aveva raccontato che tutti i boschi hanno funzioni importanti: ricambiano l’ossigeno, trattengono l’acqua della pioggia e sono l’habitat ideale per i caprioli. In un mondo normale … ma allora? Pier Ettore silenziosamente rimuginò le contraddizioni dei grandi. Ma poi capì. Questo non era un paese per bambini. E nemmeno per caprioli.
I lavori erano iniziati e dopo pochi giorni di attività frenetica e inspiegabile, al bambino fu chiara la devastazione della collina del castello: ruspe, scavatori e camion, rumore e puzza! non stavano certo sanando la collina dall’inquinamento! Per ore e ore Pier Ettore incollato alla finestra seguiva le operazioni di spianamento, gli alberi sradicati e portati via, la terra scavata, rimossa, caricata e allontanata con i camion. Non restò un filo di verde.
E così per lunghi giorni, un mese e mezzo, poi improvvisamente un giorno, il silenzio, qualcosa era successo: tutto quel chiasso, così come era iniziato così si era fermato. I lavori? fermi. Le ruspe e i camion? ferme. Gli operai? non c’erano più. Pier Ettore pensò che ora senza tutto quel rumore il capriolo sarebbe tornato. Aspettava, per due settimane ancora silenzio, lavori fermi, ma del capriolo nemmeno l’ombra. Uno dei primi giorni di febbraio, la giornata era calda, il cielo terso, sembrava quasi primavera, il tempo era stupendo e Pier Ettore corse fuori per percorrere ancora i sentieri del colle, ma erano tutti sbarrati, distrutti, impraticabili, guardava il colle dalla recinzione del cantiere, la terra marrone era illuminata dal sole del pomeriggio. Ruspe e camion fermi. Nessun operaio. E nemmeno il capriolo. Capiva perfettamente che in quel posto devastato il suo amico non sarebbe più ritornato.
Quella sera andò a letto con ancora la collina marrone negli occhi e sognò.
Sognò 250 piccoli scout che si arrampicavano implacabili sul colle del castello, con una mano trascinavano un sacchetto di terra e nell’altra avevano una piantina: 250 sacchetti di terra e 250 piantine. Avevano un gran lavoro da svolgere e tutto il tempo necessario per farlo. Pier Ettore dirigeva i lavori e quel compito gli riusciva piuttosto bene: “voi di qua, voialtri di là, piantate qui, aggiungete più terra, riempite quelle buche, scaricate i vostri sacchetti … ora annaffiate”.
Quando al mattino si svegliò tutto successe in un attimo: schizzò giù dal letto per affacciarsi alla finestra ma sentì suonare alla porta di casa. La mamma aprì e un anziano signore entrando disse “Disturbo? Sono qui per presentare l’ascensore”. (1. continua)
la compagnia dei transalpini
Oh … che bel! speremo che quele 250 piantine le possa essar piantade