E’ uno di quei momenti in cui non si è certo indotti all’ottimismo.
La rivolta che ha portato alla destituzione di Mubarak si sta allargando ad altri Paesi del Nord Africa e del cronicamente “bollente” Medio Oriente. La questione delle navi da guerra iraniane che chiedono di attraversare il Canale di Suez sembra essere il preavviso di preoccupanti e prossime complicazioni internazionali. Ci si dimentica spesso che la corsa agli armamenti degli anni ’60 e ’70 insieme all’evoluzione tecnologica dell’industria bellica hanno trasformato il Pianeta in un’immensa polveriera e che basterebbe accendere la miccia giusta per provocare conseguenze da brivido. Basti pensare all’immensa miseria di un numero sempre più elevato di popoli, alla necessità di appropriarsi delle fonti di energia per tutti i Paesi industrializzati, alla grande problematica dell’accesso all’acqua, al controllo sui mezzi di informazione e di comunicazione… per rendersi conto che il timore di un disastro imminente è radicato in un terreno profondo.
In questo contesto la situazione italiana non è semplicemente ridicola, costituisce invece un segnale emergente di una crisi della democrazia che non coinvolge soltanto il nostro Paese. Il “tirém innanz” di Berlusconi crea un clima di sfiducia nelle “regole” dettate dalla Costituzione e suscita una sempre più diffusa sensazione di impotenza e rassegnazione: la “gente” non è scandalizzata soltanto dal quotidiano aggiungersi di un particolare scabroso al già squallido fascicolo del “capo”, ma dal fatto che gli interessi privati cancellino ogni giorno di più la percezione di “contare qualcosa” nella costruzione del futuro della “città”.
E la crisi della politica investe anche Gorizia, dove ai legittimi interrogativi dei cittadini si risponde con gli improperi, il diritto all’informazione è sostituito dalle “veline” (nel senso giornalistico del termine) che illustrano i successi accumulati dal timoniere, la richiesta di comunicazione è considerata “mettere i bastoni fra le ruote”… della macchina di chi comanda, naturalmente.
E’ possibile credere ancora nella politica democratica, nella partecipazione attiva e consapevole dei cittadini, nella formazione di giovani che abbiano a cuore veramente il bene comune e non quello delle proprie tasche? E’ possibile credere ancora nei grandi valori della nostra Costituzione Repubblicana, nelle istituzioni che regolamentano la vita dello Stato? Non solo è ancora possibile, ma è anche indispensabile una nuova Resistenza, culturale e politica, convinta e nonviolenta, finalizzata a ricollocare al centro dell’attenzione di tutti quella “persona umana” per la libertà della quale hanno combattuto e dato la loro vita i nostri padri.
Sì, è l'ora! Occorre dire chiaro e forte che in Italia è oggi in gioco la democrazia repubblicana nata dalla Resistenza. Il Caimano, e la sua ampia cerchia, è pronto a tutto e non si fermerà davanti a niente pur di ottenere l'immunità per i suoi tanti misfatti. Ma diversamente dagli anni di Tangentopoli, la reazione morale del paese non c'è, non c'è indignazione di massa, non c'è – o è scarsa – l'indignazione morale e politica. Il corrompimento di moralità e coscienza di un popolo è stato ottenuto con un lavoro di lunga lena portato avanti da televisioni e giornali che a partire dagli anni '80 hanno creeato un nuovo tipo di italiano. Il tutto senza che la sinistra, troppo impegnata ad autodistruggersi, se ne rendesse conto. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Credo che, pur nella diversità delle situazioni, il Paese stia imboccando la strada di un scontro che può trascendere da un momento all'altro riportando l'Italia ad un clima di guerra civile sperabilmente incruento. Ma questo mi pare è lo scenario che si va delineando. E allora si rende necessario prepararsi ad una lotta non solo di resistenza ma di difesa attiva della democrazia nelle piazze e nel Paese.
marcinkus