La festa dei santi Ilario e Taziano, patroni della città di Gorizia, invita alla riflessione sulla vita della città.
E’ evidente che Gorizia ha un’unica possibilità di sviluppo, quella di uscire dal proprio isolamento e cominciare concretamente a “pensarsi” con le altre realtà che la circondano: che non sia ormai troppo tardi è impresa da dimostrare.
Nova Gorica e i vicini comuni sono stati caratterizzati nei due decenni trascorsi dall’indipendenza della Slovenia da uno sviluppo rapidissimo: dal punto di vista urbanistico l’espansione è stata accompagnata da una ricerca di soluzioni architettoniche estremamente interessanti (ancorché discutibili come tutto ciò che è arte e innovazione); il commercio, dopo la realizzazione di Qlandia, del grande Mercator e di un’infinità di piccoli market, ha soffiato buona parte della clientela della “stara Gorica”, complice il prezzo iperconcorrenziale di benzina e sigarette ma anche l’intelligenza degli orari di accesso e una sempre delicata naturale cortesia; gli investimenti sul piano culturale hanno portato all’ideazione e in parte alla realizzazione del geniale museo diffuso sul confine che ha già ottenuto prestigiosi riconoscimenti europei.
Trieste e Udine, forti di imbattibili “numeri” politici, mentre hanno restituito ai cittadini spazi pubblici pedonali di grande fascino e bellezza, intiepidiscono la loro proverbiale “distanza” dividendosi buona parte dei fondi pubblici e dominando in questo modo la spartizione delle infrastrutture, la valorizzazione delle imprese produttive, la costruzione del welfare comunitario.
Perfino all’interno della provincia di Gorizia la relazione fra i “poli cittadini” ricorda la vicenda dei pollastri portati da Renzo in dono all’avvocato azzeccagarbugli; e in ogni caso a rimetterci è sempre Gorizia, non è un caso che l’unica certezza delle prossime elezioni provinciali è che il prossimo presidente della Provincia non sarà di Gorizia (il capoluogo non riesce a “produrre” un presidente dal lontano 1993, quando fu clamorosamente eletta Monica Marcolini).
Mentre l’isolamento cresceva i politici cittadini hanno scelto un percorso di orgogliosa autarchia le cui conseguenze sono sotto gli occhi di tutti, non ultimo il calo vertiginoso dei numeri relativi ai residenti, nonostante un consistente apporto di cittadini immigrati.
Se dunque si è ancora in tempo è ora di cambiare rotta, procedendo anzitutto con umiltà: l’accesso ai tavoli sui quali costruire il futuro di questo territorio nel cuore dell’Europa non è scontato, non è affatto detto che chi sta vicino senta la necessità di confrontarsi in modo sereno e costruttivo. Eppure non c’è alternativa se non lo spegnersi definitivo della città e lo smantellamento del ruolo di capoluogo giustificato soltanto dal glorioso passato.
L’augurio a Gorizia è allora quello che possa iniziare una stagione completamente nuova dove piccoli e disinteressati “operai” della cultura e della politica sappiano tessere una nuova rete di relazioni a tutti i livelli, costruire con le tante tessere a disposizione un mosaico armonico e variopinto.
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