Sui referendum di giugno il capo del governo sta portando avanti una strategia molto rischiosa: da una parte punta alle “leggine” che secondo lui potrebbero far cancellare la maggior parte dei quesiti, ritenendo evidentemente necessario abbassare più possibile il numero di partecipanti nella speranza che “salti” il quorum sul legittimo impedimento; dall’altra mette le mani avanti, ben sapendo che difficilmente il giochetto sul nucleare potrà ripetersi per i due referendum sull’acqua pubblica e che lo stesso quesito sulle centrali è tutt’altro che defintivamente cassato.
Allora che fa? Dice esplicitamente ciò che tutti sapevano, ovvero che la moratoria sul nucleare non è altro che un espediente per evitare le urne ma che tra un anno, passata la psicosi di Fukoshima, se ne riparlerà tranquillamente. Il fine della boutade è quello solito, gettare una cortina fumogena sui problemi in discussione, spostare il dibattito sulle sue performances e possibilmente minare del tutto l’istituto referendario in quanto tale.
Un po’ come è accaduto a Gorizia dove è apparso ovvio a chiunque che non esistevano motivi tecnici giustificanti l’assurdità di un turno referendario comunale coincidente con quello nazionale, ma soltanto in uno dei due giorni e con orari diversi: il motivo politico chiaro è quello di affossare il referendum consultivo popolare e con esso una delle poche forme di partecipazione che i cittadini hanno ancora a disposizione per far sentire la propria voce. Insomma, paradossalmente i referendum comunali di Gorizia potranno sortire un effetto trascinante nei confronti di quelli nazionali, anche per la cassa di risonanza mediatica amplificatra dai pasticci procedurali compiuti dal presidente del consiglio comunale Roldo quando ha messo ai voti la delibera sulle date.
Rispondi