Ecco un breve racconto/lettera di Giovanni Civran intitolato “Ricostruisci L’Aquila e diventi cittadino Italiano”:
“Caro Migrante,
stai scappando dalla tua terra, forse abbandoni il tuo villaggio in mezzo al deserto o disperso tra le montagne dell’Atlante.
Forse per la prima volta, stanco e affamato i tuoi occhi hanno visto quello che altri hanno chiamato ‘mare’.
Sai che oltre quel lembo azzurro non c’è solo l’orizzonte, ma la terra di cui qualcuno di un altro clan te ne ha parlato a lungo. Un luogo dove puoi realizzare i tuoi sogni.
Hai con te tutti i tuoi risparmi, li stringi in una borsa di plastica: hai dovuto vendere alla famiglia più ricca il campo arato da tuo padre e da tuo nonno, prima di lui. Ti si stringe il cuore. Ma non c’era altro da fare. Bastava guardare il viso malato di tua moglie, la debolezza dei tuoi bambini, per capire che quella era la scelta da fare.
Fin qui la strada è stata faticosa, durissima. La tua famiglia ti è già mancata dannatamente, ma è per loro che hai scelto di affrontare il viaggio.
Ora trovi alcuni uomini che conoscevi già, li vedi contrattare con un uomo che fino a qualche tempo prima di mestiere faceva il pescatore.
Ti accordi per un prezzo: che fortuna era proprio la somma che possedevi! Ti hanno preso tutto fino all’ultimo spicciolo. Ma tant’è il giusto prezzo della speranza…
Il viaggio inizia nel buio di una notte senza luna, non c’è nessuno a salutare te e i tuoi compagni. Se foste scoperti i soldati del vostro governo incivile, arretrato e abbietto non esiterebbero a spararvi contro…
Il viaggio dura alcuni giorni e alcune notti. Un gruppo di donne sulla barca non smette mai di pregare, specie quando le onde si levano in mareschi improvvisi e il mare sembra volere inghiottire in un solo vortice tutti i vostri sogni. Nessuno si salverebbe, nessuno ha mai nuotato prima.
La costa dell’altra terra si intravvede una sera quasi come un miraggio. Vista dal mare non sembra neppure molto diversa da dove siete partiti.
Giunti ormai vicini, una barca vi intercetta. I primi volti che vedi dell’altra terra sono di persone severe e diligenti, anche loro hanno le armi, ma non sono intenzionati a usarle.
Della loro lingua non si capisce neanche una parola, pare quasi che cantino, mentre parlano.
Vestono tutti una divisa. I colori di questo paese sono il rosso, il verde e il bianco. La scritta che portano tutti dice “ITALIA”, un’altra ancora è più lunga e inizia con” CARAB…”.
Capisci subito che urlare con esultanza assieme ai tuoi compagni il nome di quella divisa porta bene, perché subito quelli che la indossano sorridono e fanno gesti rassicuranti.
A terra un gruppo di ragazzi e alcune donne anziane vengono a portare del cibo. Ne prendete a piene mani. E i tuoi pensieri scorrono veloci, i tuoi occhi sono avidi di capire tutto quello che li circonda.
Vi mettono in fila: un uomo vestito di bianco vi guarda la bocca e gli occhi e poi scrive qualcosa per ognuno su un foglio di carta. Il foglio passa a un altro uomo con la divisa. Questo inizia a prendere altri fogli e sopra altri uomini ancora vi scrivono ancora altre parole nella loro lingua. Parole, parole, e fogli e numeri.
Inizi a chiederti, sorridendo per la prima volta dopo tutto il viaggio, come mai in questo paese ogni persona svolga il suo lavoro riempiendo montagne di fogli. Praticamente tutti passano fogli scritti a tutti.
La cosa ti sembra strana, ma in quel momento ecco sentire una voce amica, parla la tua stessa lingua e veste abiti strani, ma puliti e nuovi.
Traduce le frasi del vecchio uomo in divisa, quello che sembra il capo di tutti e ti avvisa con voce stentorea di quali siano le regole della Nazione su cui siete approdati:
“Il nostro paese è bello, ma sta attraversando un periodo di crisi. Non possiamo prenderci in carico tutti voi. Non possiamo darvi case dove dormire e moschee dove pregare.
Quindi le possibilità da qui in poi sono due:
1. prendete le vostre cose e vi imbarcate sulla prima nave che torna nel vostro paese;
oppure
2. vi trasferite in una tendopoli all’interno di una grande città italiana che si chiama L’Aquila. Due anni fa un terremoto la ha completamente distrutta, sono morte molte persone e molte se ne sono allontanate per sempre. Il nostro Governo aveva promesso che in pochi mesi la avrebbe completamente ricostruita, ma tali promesse non sono state mantenute.
Così ora noi non abbiamo le risorse di ricostruire tutto e non ci sono abbastanza giovani in quella regione in grado di lavorare a questo grande progetto. Quelli di voi che accetteranno di lavorare a questa ricostruzione otterranno dopo un anno un grande premio: la cittadinanza italiana. Con quel documento potrete cercare una casa, un lavoro, chiamare a voi i vostri cari. Sarà un lavoro duro, sarete controllati con rigore e disciplina e dovrete accettare tutte le regole che vi saranno impartite, ma a ciascuno di voi sarà assicurato del cibo, delle medicine, de vestiti e dei luoghi dove pregare e lo spazio dove giocare e socializzare”.
Caro Mohammed,
tutto questo lo scrivevo ormai 4 anni fa per dare a te e ai tuoi fratelli un saluto di “benvenuto” nel nostro Paese: l’Italia.
Ora contemplo L’Aquila e la vedo quasi più bella di prima…. Prima di quella terribile notte di Aprile. Molti Aquilani rifugiatisi dai loro parenti sono tornati nella loro vecchia città e sono grati a Te e a tutte quelle migliaia di persone che, disperate, lascarono assieme a te la loro terra arida di futuro e investirono le loro risorse e le loro energie per rendere più bella e più giovane la nostra Nazione.
È molto bello pensare oggi, a distanza di tempo, di quanto sia stato felice il nostro incontro: la tua gente ha trovato una casa e la pace e noi, grazie a voi, abbiamo trovato nuove risorse, nuova linfa vitale, nuovo slancio per fare crescere tutta una Nazione ormai vecchia e con una significativa stagnazione economica.
E pensare che al tempo del vostro sbarco, quando in Libia c’era la guerra, alcuni individui di basso livello, ottusi e ignoranti vi vedevano come “un grave problema” che avevano pensato di risolvere puntandovi addosso un fucile e sparandovi!
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