Dunque esisteva. Esisteva e ora non esiste più. Tutti auspicano – per la verità senza sperarci troppo – che la morte di Bin Laden sia la fine di una caccia che ha provocato centinaia di migliaia di vittime nelle guerre dell’Afghanistan e dell’Iraq e che ha contribuito a rendere molto meno sicuro ogni angolo del Pianeta. Molti festeggiano la “giustizia che è stata fatta”, lo stesso Obama dopo aver ammesso che l’ordine era quello di “catturarlo” ha condiviso la gioia degli americani. Tutto ciò ben sapendo che la galassia Bin Laden non è cancellata con la morte del capo carismatico e che la minaccia di nuovi terribili attentati nel cuore dell’Occidente è tutt’altro che stornata.
E’ una notizia destinata alla storia e un indubbio successo della strategia americana di convinto sostegno all’Islam moderato, alla quale probabilmente non sono estranee le rivolte in Tunisia, in Egitto, in Libia e in Siria.
In questo contesto di vittoria “occidentale” alcune perplessità non possono essere passate sotto silenzio: la prima riguarda proprio il metodo, è difficile non pensare a una vera e propria esecuzione capitale quando il Pentagono afferma che “l’obiettivo dell’azione era l’uccisione di Bin Laden”. Dunque, non ci si può che rallegrare del fatto che un criminale che ha ideato e approvato un massacro come quello delle Torri Gemelle sia reso inoffensivo; è tuttavia legittimo chiedersi se è giusto considerare normale che tale “uscita di scena” debba coincidere esclusivamente con la sua uccisione. La Sala Stampa Vaticana ha notato che “non si può far festa di fronte alla morte di qualsiasi essere umano”. Non può diventare pericoloso il principio secondo il quale, in nome della sicurezza di alcune Nazioni, “non si devono mai più fare prigionieri”? La globalizzazione degli interventi militari non porterà alcuni Stati più potenti a intervenire “liberamente” in tutti gli altri con uccisioni mirate a togliere dai piedi chiunque in qualche modo minacci i propri interessi?
Anche dal punto di vista strategico risulta quanto meno strana l’eliminazione immediata di un uomo che avrebbe potuto svelare una miniera di segreti riguardanti le attività terroristiche passate presenti e future: quando Saddam Hussein fu arrestato dai soldati americani fu interrogato e consegnato ai tribunali iracheni che l’hanno giudicato e poi condannato. Così come strana è l’ubicazione dell’ultimo rifugio del super terrorista: una specie di tranquilla casa di riposo per militari pachistani alla periferia della capitale. I servizi segreti di Musharraf avranno senz’altro collaborato nell’individuazione del covo, ma l’impressione ricavata dalle immagini non è certo quella di un bunker nascosto negli anfratti delle rocce o di un’imprendibile polveriera militare.
Ovviamente sono tutte riflessioni che nascono dalla non piena conoscenza di ciò che è accaduto, ma questa considerazione porta a un’ultima riflessione: chi sa veramente cosa è accaduto? quali informazioni certe sono filtrate ai media internazionali? Come sempre pochissime e molto ben pilotate, cosicché in giornata si è sentito tutto e il contrario di tutto: una vera cortina fumogena che probabilmente avrà lo scopo di nascondere il fatto che il terrorismo non si può identificare con Bin Laden; e di stornare per un attimo l’attenzione dalla “guerra sporca” in Libia nella quale ancora nessuno ha capito bene chi siano i contendenti, la Nato ammette di continuare a “bombardare” senza un preciso progetto militare (ma se – alla luce di quanto avvenuto oggi – il piano consistesse nell'”uccidere Gheddafi” come si comporterebbe l’ipertentennante politica internazionale dell’Italia?), e la gente muore senza neppure sapere perché, colpita dal rais, dai ribelli e dai bombardieri della Nato.
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