Chi è impegnato nei vari livelli delle istituzioni politiche e amministrative si rende conto del distacco dalla vita ordinaria dei cittadini? E’ una domanda che si impone, soprattutto quando si ha occasione di sentire contemporaneamente l’una e l’altra “campana”.
Generalizzato il discorso diventerebbe troppo complesso, un blog non può pretendere di più che suggerire qualche riflessione e aprire qualche discussione… Per il momento è sufficiente fermarsi a Gorizia: nelle riunioni di forze politiche le persone parlano ritenendo di interpretare con chiarezza il volere della base (la cosiddetta “cente” della quale ognuno si sente portavoce e a nome della quale interviene esprimendo la propria opinione sui giornali e altrove). In realtà se si interpella direttamente la “cente” ci si accorge che quasi nessuno conosce il pensiero o il progetto politico dell’uno o dell’altro, anzi normalmente quasi nessuno ha idea di chi siano i politici che credono di essere tanto importanti in città: a meno che non siano identificato come gli autori di qualche specifica azione più o meno folkloristica ovvero che abbiano acquisito visibilità in altri settori della vita civile (sport, categorie sociali, professioni con particolare visibilità, ecc.)
In realtà il punto sta proprio nell’identità della “cente”, cioè di coloro che si suppone rappresentare: a livello di settori produttivi, di cosa vive Gorizia? Le industrie sono ormai al lumicino, l’agricoltura e l’artigianato sono quasi un ricordo, il commercio arranca, gli ambiti lavorativi di gran lunga più “abitati” sono quelli pubblici (Azienda Sanitaria, Scuola, Università, Enti locali – il dato trasmesso dai quotidiani rivela che la Provincia di Gorizia ha un costo per abitante doppio rispetto alle altre province della Regione – ecc.) oppure quelli privati legati a particolari professioni (avvocati, commercialisti, notai, ecc.). Analizzando lucidamente la situazione, quale futuro può avere una città nella quale non esistono prospettive di sviluppo sostenibile a livello produttivo? La questione fondamentale che interessa questa “cente” – soprattutto i giovani – è se è possibile o meno rimanere a Gorizia e a quali condizioni.
La questione è molto più culturale di quello che sembra, infatti la risposta a questi interrogativi risiede in un’ovvia constatazione il cui valore è stato sottovalutato e marginalizzato da sessant’anni di ostracismo: l’unica possibilità di salvezza per Gorizia consiste nel ritrovare la sinergia con il proprio antico territorio. La collaborazione con Nova Gorica e Comuni limitrofi è stata di fatto mortificata con il mini-Gect goriziano, nato da una (assai striminzita) costrizione strategica e non da una profonda convinzione programmatica: la “cultura” della destra goriziana che di fatto governa la città – con rare eccezioni – dal dopoguerra è ancora fortemente radicata tra la “cente” che tuttora si sente minacciata “dalla Jugoslavia” oltre che naturalmente dagli immigrati (che a Gorizia sono tra l’altro molto pochi) che “portano via agli italiani soldi e posti di lavoro”.
Per questi – e ovviamente molti altri – motivi l’obiettivo prioritario di questo momento non è l’individuazione di una strategia finalizzata a vincere le prossime elezioni bensì la costruzione di relazioni reali con i vicini, ripensando insieme urbanistica, sviluppo produttivo e imprenditoriale, piano del traffico e del commercio, rilancio turistico e – in primis – culturale (si pensi che non esiste ancora un giornale in grado di comunicare sugli stessi fogli la “vita” della vecchia Gorizia e della Nova Gorica!) Ed è la costruzione di una nuova cultura dell’accoglienza e della reciprocità, in grado di superare quelle fratture profonde che trovano la loro radice nel sistema politico e culturale che ha caratterizzato Gorizia in quel ventennio fascista con il quale ancora non si è voluto fare i conti. Forse per non disturbare il sonno della memoria del “cittadino onorario” Benito Mussolini!
ab
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