Suscita ancora molta emozione la visita a Bolnica Franja, l’ospedale partigiano diretto fra il 1943 e il 1945 prima da Viktor Volčjak poi dalla dottoressa Franja Bojc da cui prende il nome. Da una parte colpisce la collocazione “imprendibile” in una stretta gola nei pressi di Cerkno e l’ingegnoso sistema difensivo che ha impedito ai nazi fascisti di individuarlo; dall’altra l’autentico eroismo dei medici e degli infermieri che in condizioni estreme hanno salvato la vita a centinaia di partigiani (sloveni, ma anche provenienti dal resto d’Europa) combattenti nei boschi della zona.
Suscita emozione perché quando si salgono le ripide scale scolpite nella roccia è impossibile non pensare a coloro che le percorrevano rischiando la vita pur di assicurare alle cure i feriti trasportati su rudimentale barelle. E non è difficile immaginare quale sarebbe stato il destino di operatori e malati se l’ospedale fosse stato scoperto. Queste persone capaci di vivere in condizioni estreme per oltre due anni hanno combattuto per la libertà dei popoli dall’oppressione, hanno sofferto i più grandi sacrifici per non lasciarsi schiacciare dalla barbarie nazista.
Al di là di ogni retorica ma anche di ogni venefico revisionismo storico queste persone hanno realizzato nel cuore delle prealpi Giulie un inno alla giustizia, alla libertà e all’amore solidale: meritano il rispetto di tutti e l’accoglienza del loro messaggio. Chi non c’è ancora stato ci vada: una sessantina di chilometri da Gorizia e si ritorna con un “pieno” di speranza, che sia possibile ancora oggi – in una situazione difficile ma non paragonabile con quella estrema – resistere.
Un’ultima nota di plauso al governo della Slovenia che in meno di quattro anni ha rimesso in sesto – e quanto bene! – l’Ospedale travolto in toto da un’alluvione nel 2007.
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