“Sta crollando tutto” – avrebbe detto Gianni Letta commentando l’ennesimo tonfo della Borsa italiana che ha “chiuso” oggi male, anche se non molto peggio delle altre mondiali. E’ la sensazione che si ha da ormai da parecchio tempo, “sta crollando tutto” e sembra che nessuno riesca a trovare un modo per uscirne. Ciò si verifica anche perché i fattori che concorrono a determinare l’andamento dell’economia globale sono talmente diversificati e spesso effimeri da rendere assai difficile una verifica, un controllo e una sostenibile previsione. E’ vero ad esempio che “se sta crollando tutto” il peggiore dei governi immaginabili se ne dovrebbe andare istantaneamente perché altri maggiormente competenti e motivati possano far fronte all’emergenza; ma sarebbe una venefica illusione pensare che la fine politica di Berlusconi possa essere la medicina in grado di risolvere tutti i mali. E’ evidente a tutti la debolezza di un Impero planetario fondato sulle bizze delle Borse e sui “punteggi” delle agenzie di rating, tanto più quando gli Stati apparentemente più “solidi” rivelano l’incapacità (o la strategia?) di pagare i propri debiti ad altre importanti potenze mondiali. Sta di fatto che come il famoso battere d’ali della farfalla brasiliana provocherebbe secondo alcuni un uragano nella foresta equatoriale di Sumatra, così un apparentemente innocuo articolo su un giornale a tiratura mondiale può devastare interi sistemi socio economici e mandare in tilt il mondo del Capitale. Chi paga le crisi – si sa – è sempre anzitutto chi è più debole: la Somalia e l’Etiopia cercano di risvegliare l’Occidente dal torpore richiamando una ricorrente catastrofe umanitaria alla quale in effetti non sembra essere riservata particolare attenzione; nel frattempo i moti dell’Inghilterra sembrano preludere a una stagione nella quale l’indignazione non si accontenta più delle parole; così come le guerre “guerreggiate” sono sempre più difficili da decifrare se non per la dolorosa certezza della morte e della sofferenza di tanti innocenti. Che fare in questa situazione? Forse l’unica alternativa possibile a una “crisi di sistema” gestita soltanto dai potenti è la partecipazione popolare alle decisioni che contano: i referendum italiani sono stati un banco di prova che ha suscitato sorpresa e speranza. E’ solo un primo passo, ma esso dimostra che solo un’autentica democrazia partecipata può ridare spessore e valore alla democrazia rappresentativa. Ciò vale a livello globale, dove è andata molto avanti la riflessione seria e approfondita dei profeti di “un altro mondo possibile”; vale a livello italiano, dove solo nelle vivacissime correnti assembleari sarà possibile individuare e valorizzare una nuova linfa vitale per il rinnovo di un asfittico Centro Sinistra e più in generale degli interi organismi rappresentativi; e vale anche a Gorizia, dove la prossima occasione delle elezioni “primarie” per la scelta del candidato sindaco del centro sinistra deve essere intesa e vissuta come la prima tappa di una nuova politica “dei beni comuni”: il rinnovamento della città e del territorio a partire dal coinvolgimento e dalla condivisione del progetto futuro con i cittadini.
Interessante la proposta di Vendola: tutti in piazza il 1 ottobre. Si potrebbe cantare"Ma noi non ci sareeeemo" nel senso non ci saremo più, morti, indebitati, nei campi a scavar rape cercando di evitare la trappola dei lacci e lacciuoli del libero mercato e la sua mano morta che ti frega anche quei pochi soldi dalla tasca dei jeans, oltre a palparti il culo, perchè non fa mai niente per niente. Un estremista senza apostrofo.
a proposito di partecipazione, in Islanda, a seguito di una disastrosa crisi finanziaria, i cittadini sono riusciti a far dapprima dimettere il governo in carica al completo, mentre le principali banche responsabili venivano nazionalizzate, si sono rifiutati di pagare i debiti che queste avevano contratto con la Gran Bretagna e l’Olanda a causa della loro ignobile politica finanziaria (con tanto di arresti dei principali finanzieri e top manager responsabili della bancarotta del Paese) e in conclusione sono passati alla creazione di un’assemblea popolare per riscrivere la propria Costituzione. Tutto questo è accaduto attraverso una vera e propria rivoluzione, senza spargimenti di sangue, con le proteste e le urla in piazza, una rivoluzione contro il potere politico-finanziario neoliberista che aveva condotto il Paese nella grave crisi finanziaria.
In Islanda? Tiro fora il peliciotto e vado