La virtù dell’ammissione di colpa in Italia è un istituto sociale molto controverso.
Se da bambini siamo tutti educati alla trasparenza, all’ammissione della colpa, alla richiesta del perdono fraterno, da adulti invece sono la furbizia, la scaltrezza e la prevaricazione le qualità dell’uomo di successo. Non importa se poi tali condotte producono delle scelte spesso border line rispetto alla legalità di azione e portano quasi sempre al rinnegamento dell’etica sociale, quella del “gentlemen agreement” non sempre definita e prescritta dal quadro normativo vigente, ma affidata alla sensibilità della comunità delle persone e al senso di responsabilità individuale.
“Negare. Negare sempre!” questo insegnano le condotte dei politicanti nazionali, ma anche locali.
Negare a costo di cadere nel ridicolo, nel faceto…
Purtroppo il margine di libertà affidato al negazionismo dei propri errori è altissimo. È come se ad alcune cariche pubbliche fosse affidata, per tutta la durata del mandato, la “Licenza di sbagliare senza dover rendere conto”.
Se un sindaco costruisce un’opera inutile, estremamente dispendiosa, che deturpa il paesaggio storico e paesaggistico della sua Città, egli di fatto non dovrà rispondere di fronte a nessuno del suo operato e delle sue scelte, a patto che le procedure formali e la burocrazia sottostante all’appalto dei lavori e al rendiconto delle spese siano state gestite nel pieno rigore della legge.
In pratica con una certa carica pubblica puoi:
– inventarti una necessità da inserire nel “Quadro dei fabbisogni e delle esigenze”dell’Amministrazione presieduta;
– promuovere l’accantonamento della somma necessaria per la realizzazione dell’intervento in grado di soddisfare la necessità sollevata (distraendo risorse cittadine o regionali o nazionali o comunitarie da altri ambiti scuola, sanità, imprese, immigrazione, famiglia, sicurezza, tecnologia, ricerca…);
– inserire l’intervento nel “Programma triennale delle opere” e quindi farne approvare la copertura economica attraverso la formalizzazione del “Elenco o Piano annuale delle opere” (*)
– indire la procedura di gara per l’affidamento dei lavori seguendo con stretto rigore tutti i requisiti formali del processo (D.Lgs. 163/2006 poi modificato dal D.Lgs. 207/2010);
– pagare le imprese appaltatrici liquidando gli importi fatturati….
…tutto questo senza farsi interrogare, senza rendere conto, senza mai essere obbligati a rispondere sull’effettiva utilità, necessità e sulle ricadute economiche, ambientali e sociali di medio e lungo periodo associate alla realizzazione dell’opera / servizio / intervento realizzato.
(*) la legge stabilisce per opere di un certo importo anche lo studio di fattibilità il cui scopo sarebbe proprio quello di accertare l’effettiva pertinenza della spesa richiesta.
Allora: posto che al senso di responsabilità individuale non possono essere fissati “paletti normativi”, è possibile per il futuro pensare ad amministrazioni pubbliche locali che si diano delle regole che “superino” i confini e gli obblighi dei meri adempimenti burocratici e che, di fronte a qualsiasi intervento di interesse per la Comunità amministrata, pongano tra i pre requisiti essenziali di un’opera la raccolta di pareri, favorendo la partecipazione e l’accoglimento di suggerimenti, correzioni, controproposte al fine di ottimizzare la spesa e l’impiego delle risorse pubbliche?
Chiudo con questo anatema:
chi viene eletto costituisce espressione della volontà di una comunità più o meno popolosa, volontà che però perdura nel tempo e che nel tempo muta, in funzione delle congiunture economiche e sociali che sulle persone di quella comunità hanno effetto.
Chi viene eletto quindi, in tutto il tempo del suo mandato, deve conoscere, capire, interrogare, coinvolgere il proprio elettorato e anche i propri oppositori.
E quando sbaglia clamorosamente, almeno chiedere scusa.
Giovanni Civran
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