Tra gli altri, due articoli del Piccolo oggi sono davvero molto interessanti: uno è quello in cronaca cittadina che dimostra dall’alto l'”abbraccio” fra la nuova e la vecchia Gorizia. L’altro, sul quale val la pena soffermarsi, tratta un tema drammatico, raramente portato sotto i riflettori mediatici.
Pier Aldo Rovatti, una delle più brillanti “teste” della nostra Regione, propone in prima pagina una riflessione sui famigerati “opg”: sono gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, gli ultimi “manicomi” tuttora esistenti in Italia a oltre trent’anni dalla legge 180. Ce ne sono sei, dispersi per l’Italia e ospitano migliaia di detenuti riconosciuti portatori di problemi psichici; sono costretti a vivere nella solitudine, lontano centinaia di chilometri dai propri ambienti ordinari di vita, spesso imbottiti di psicofarmaci e condannati a volte a un vero e proprio ergastolo. Qualcuno penserà subito ai serial killer o a simili casistiche: anche per essi dovrebbe essere in primo piano la preoccupazione della cura riabilitativa in ambienti consoni. Tuttavia il numero più consistente di detenuti è quello di chi ha commesso piccoli reati – furtarelli, piccolo spaccio… – ed è stato definito “socialmente pericoloso”: resterà in manicomio criminale non solo fino a quando avrà scontato la piccola pena prevista, ma fino alla “guarigione” che purtroppo spesso si rivelerà essere quella “eterna”.
Alternative? Ce ne possono essere molte, una stava per essere realizzata proprio nel territorio goriziano, un progetto pilota tra ente pubblico e privato sociale che avrebbe consentito di “liberare” gli involontari ospiti isontini degli opg italiani. Un progetto che avrebbe consentito di valorizzare la dignità della persona, ma anche di creare interessanti opportunità occupazionali: non è andato in porto, se ne potrebbe riparlare nel prossimo futuro, affrontando più in generale i temi della detenzione coatta. Anche per risolvere una volta per tutte la scandalosa situazione in cui versa la casa circondariale di via Barzellini.
Rispondi