La settimana appena trascorsa è stata “de fuego” per ciò che concerne la politica nazionale, dalla quale per il momento emerge un’unica certezza: è finita l’era di Berlusconi e appare quasi impossibile un suo “ritorno” sulla poltrona di premier. E’ “caduto” alla sua maniera, entrando nelle case il giorno dopo le dimissioni con un videomessaggio pubblicitario nel quale è apparso distratto e distante, come se in questo momento fosse interessato a tutt’altri problemi personali che a quelli dell’Italia. Sono immagini già sbiadite dal tempo, l’evento sembra ormai ben più lontano di qualche manciata di ore…
Oltre alla prevedibile riuscita del tentativo di costruire il governo “tecnico” e alle previsioni sulla sua durata sarà interessante comprendere l’atteggiamento che assumerà il partito di maggioranza relativa in Parlamento: l’interesse dei pidiellini è evidentemente quello di “scaricare” l’ormai ingombrante ex presidente, cercando di barattare – forse anche con il suo consenso – la garanzia di un esilio soft (o hard, visto il personaggio) con l’appoggio senza condizioni al costituendo Governo Monti. La conseguenza potrebbe essere la stessa fine di un’esperienza politica legata a filo doppio all’homo arcorensis e un immediato rimescolamento generale delle carte con l’avvio di un processo di riunificazione e polarizzazione delle forze. Per il momento fuori corsa la sinistra ha un po’ di tempo per riorganizzarsi, ma deve superare l’attuale indecente frammentazione nonché intercettare con proposte e progetti concreti il crescente disagio della sempre più ampia popolazione di neo-impoveriti; si apre poi un’ampia partita parlamentare, con tre probabili schieramenti – centro sinistra, centro e centro destra – dove si riposizioneranno i malpancisti degli attuali partiti di maggioranza e opposizione, con il probabile beneplacito della Conferenza episcopale italiana che da quando il Berlusca si è lasciato trascinare dai piaceri della carne, tenta il “colpaccio” di ricostruire la Diccì; crescerà probabilmente anche una destra estrema, dentro e fuori da Camera e Senato, alimentata dalle sempre più elevate tensioni sociali che purtroppo si verificheranno con l’avanzare della crisi e dei tagli ad essa connessi.
Tutto ciò nell’ipotesi che il governo Monti nasca e duri fino al 2013, previsione peraltro più che probabile visto lo stato confusionale in cui versano tutti i gruppi parlamentari sconquassati dal quasi ventennio ormai sicuramente finito. La variabile che per ora non può essere verificata è quella legata agli umori e alla forza della “piazza” che può trovare nelle incertezze della politica rappresentativa il terreno adatto alla logica della più che legittima rivendicazione, ma anche a quella molto pericolosa del populismo e del capo-popolo dittatore in pectore.
ab
ripeto il mio busillis: se la politica di destra o di sinistra non serve a tirare fuori il paese dalla crisi, quando tornerà la democrazia? Quando le luganighe cresceranno sugli alberi? A questo punto altrochè dimezzamento del numero dei parlamentari: soppressione totale e governo di oi aristoi come diceva l'amico Platone.