Il problema è proprio quello della sussidiarietà, principio ribadito più volte dalla moderna dottrina sociale della Chiesa, in modo particolare a partire dall’enciclica “Quadragesimo anno” scritta da Papa Pio XI nel 1931. In tale testo si afferma che agli enti non statali deve essere riconosciuto il diritto di esercitare autonomamente attività incentrate sulla promozione della dignità della persona: la sussidiarietà – principio che sarà successivamente recepito anche se in forma “moderata” dalla Costituzione Repubblicana – non è dunque supplenza alle carenze dell’ente pubblico bensì complementarietà. Esistono quindi scuole, ospedali, attività caritative “non statali” non perché lo Stato non ne abbia, ma perché chiunque lo desidera – a condizione che rientri nelle norme fissate dai Codici – possa esercitare liberamente la propria azione: tale diritto dovrebbe essere garantito anche attraverso il finanziamento pubblico e/o l’esenzione da determinate tassazioni.
Ecco dunque la questione dell’ici, che non riguarda solo la chiesa cattolica: il cardinale Bagnasco – tutt’altro che sprovveduto anche se un po’ in ritardo sulla tabella di marcia – tenta oggi di “aprire” ai controlli invocando su eventuali trasgressori delle regole adeguate punizioni. In questo modo ottiene un cospicuo spazio sui media ed evita la domanda più importante, quella relativa appunto alla gestione del “principio di sussidiarietà” a fronte del possibile default dello Stato. In un certo senso è come se la chiesa cattolica italiana, unico ente che potrebbe reggere l’urto, stesse cercando di mantenere la pole position nel caso di un tracollo globale: di offrire cioè una sponda possibile ai naufraghi di uno Stato che la crisi potrebbe desautorare dalle sue principali funzioni.
Per questo il tema è molto più complesso di quanto non vogliano far credere – consapevolmente – i responsabili ecclesiastici e – ingenuamente – i detrattori che invitano la Chiesa a pagare l’ici. A questi ultimi, anche esponenti di partiti e gruppi locali di centro destra e centro sinistra, vien da chiedere se si rendono conto di quello che dicono: per esempio, se si toglie alla Caritas o ai Cappuccini l’assistenza quotidiana (letto, pasto caldo, vestiti, assistenza medica, ecc.) a centinaia di persone immigrate, richiedenti asilo, affamate… chi si prenderebbe cura di loro? Forse la Regione che vara la legge sul welfare escludendo dai servizi i non residenti da almeno tre anni? O il Comune che non riesce a risolvere alcun problema senza il sostegno del privato sociale?
La domanda non è allora se la Chiesa (o le onlus o chi per loro) deve o non deve pagare l’ici sugli edifici con finalità sociale, ma se è ancora giustificato il principio di sussidiarietà: se sì, si tratta della certificazione della fine di uno Stato fatiscente e dell’inizio di un ritorno al “sacro” impero; se no, occorre che tutti – compresa la chiesa cattolica – rinuncino alla propria specifica azione per concorrere alla “salvezza” dello Stato laico, pluralista e democratico.
Ecco, questo è il problema…
Andrea Bellavite
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