Care Signore Infermiere e Cortese Medico Caporeparto trasfusioni,
sono Giovanni, uno dei tanti donatori di sangue della sezione di Gorizia, e vi vedo al lavoro da tanti anni. Anche se non ho mai imparato il Vostro nome riconosco da sempre con affetto il Vostro sorriso e la Vostra disponibilità.
Sabato scorso mi sono recato presso la sezione del nostro Ospedale per il prelievo trimestrale. Mi reco sempre di sabato poiché, come tanti altri miei concittadini non trovo tempo durante la settimana. Il reparto rimane a disposizione dei donatori solo la mattina presto e pertanto dovrei rivoluzionare gli impegni di lavoro, chiedere permesso di assentarmi e poi affrontare molti kilometri di strada in condizioni di guida fisicamente non ottimali.
Come ogni sabato mattina anche ieri c’erano un sacco di persone: un signore in mobilità, uno da poco in pensione, una giovane studentessa al secondo o terzo prelievo, il suo ragazzo che si preparava alla prima donazione, una coppia di quarantenni e due giovani biker tutti bardati con un giacche nere e fazzoletti arrotolati sul collo. Alle 8 e 40 eravamo già in nove ad attendere e altri tre erano già in sala trasfusione. L’attesa è durata parecchio e nessuno dei presenti ne comprendeva il motivo, salvo accorgersi, giunto il rispettivo turno, che di infermiere ve ne era una soltanto rispetto alle tre che erano sempre presenti il sabato.
“ Pensa che il sabato non possiamo neppure più effettuare prelievi di plasma, poiché servono almeno due infermiere! A questo reparto lavoravamo abitualmente in 6, alternando i turni. Ora una collega è andata in pensione, un’altra da maggio è in malattia. E nessuno ha provveduto alle sostituzioni. Ora in quattro non possiamo più offrire la copertura di prima e rimane da servire anche la sede di Capriva, oltre che provvedere alle fasi di trasporto e gestione delle sacche di sangue donato”.
Nel tempo che me ne stavo disteso sul mio lettino non potevo fare a meno di osservare l’infermiera impegnata nel suo lavoro. Aveva ormai raggiunto una sincronia perfetta tra tempi di accettazione, prova emocromo, inizio procedura, medicazione e congedo dei donatori. Senza risparmiarsi un istante, sempre con calma imperturbabile e dolcezza. Eppure stanca e insieme preoccupata di non riuscire a rispettare i tempi di gestione di tutte le persone in attesa e la consegna in orario delle sacche. Anche il medico ogni tanto veniva a verificare la situazione, scuotendo la testa imbarazzato per la congestione di lavoro della collega. Poi riprendeva a esaminare lo stato di salute di tutti i candidati alla donazione che pure dal corridoio vedevo sopraggiungere di continuo.
Si pensa, forse e ogni tanto, a ringraziare chi compie gesti plateali o chi si sacrifica completamente per gli altri. A volte, invece, sono molto più frequenti le persone che ogni giorno con il loro prezioso lavoro, senza beneficiare delle legittime pause e al necessario recupero delle ore extra di turno che non possono rientrare come straordinari continuano a spendersi per il prossimo, semplicemente eseguendo con amore e dedizione il proprio lavoro, sicuramente senza belarsi di ingenti compensi mensili e gratifiche di fine anno.
A lei Signora Infermiera e alle sue Colleghe va tutto il mio affetto e riconoscenza. Vorrei solo che il Politico di turno che nelle riunioni annuali di presentazione delle ottime statistiche sulle donazioni che vedono su alti livelli di autosufficienza la nostra Regione si ricordassero del contributo non solo lavorativo da Lei generosamente versato, magari provvedendo a rinforzare questo settore ospedaliero così importante per tutta la comunità regionale.
Con gratitudine,
Giovanni Civran
Le Signore Infermiere non sono mai state rispettate per la loro professionalità.
Piero Villotta una volta tenne un dibattito rimproverandole per non essere capaci di maggiore autostima e determinazione nel pretendere il giusto riconoscimento della categoria.
Mi pare che quanto descritto nell'articolo ne sia ulteriore prova.