27 gennaio 1945, una data ormai scolpita nella mente e nel cuore, la fine dell’incubo di Auschwitz e – simbolicamente – dello sterminio degli ebrei, dei rom, dei disabili, degli omosessuali, dei testimoni di Geova, degli oppositori del nazismo e del fascismo… Ad essi va il pensiero e ai carnefici l’orrore.
La fine? Certo, la fine di quell’incubo, non certo dei genocidi perpetuati per motivi etnici, religiosi, finanziari; per esempio, ogni volta che qualcuno richiama i milioni di bambini che ogni anno vengono uccisi dalla fame e da un sistema economico iniquo, preferiamo voltare pagina o attendere con impazienza la successiva notizia del telegiornale. In realtà anche la Shoah era una parola ignota fino a vent’anni fa e prima lo stesso termine Olocausto veniva pronunciato sotto voce, guardandosi intorno per non essere sentiti, almeno fino allo sdoganamento avvenuto grazie a un famoso film con Meryl Streep. Perfino il Concilio Vaticano II – aperto e coraggioso su tutto – non osò un riferimento esplicito allo sterminio, neppure riferendosi alle tante persecuzioni subite nella storia dal popolo ebraico. Perché sottolineare tutto ciò? Perché quella della “memoria” non è affatto questione semplice: finché si tratta di pronunciare slogan roboanti su cui tutti non possono che essere d’accordo, essa rischia di diventare uno strumento di chi vuole far pensare alla tragedia come a una sorta di calamità naturale, una specie di terremoto imprevedibile e inspiegabile; quando si tenta di entrare nelle autentiche cause e ci si chiede che cosa tali eventi – umani e non scatenati dalle forze oscure della natura – significhino per noi oggi si viene travolti da un’ondata di effimera emozione mediatica: e così nomi come quello di Mussolini vengono in parte riabilitati, gli eredi del fascismo si smarcano dal “piccolo errore” delle leggi razziali, si stracciano le vesti contro la “follia” di Hitler e sono in prima fila a gridare “mai più” davanti ai luoghi simbolo della seconda guerra mondiale.
Insomma, la memoria è scomoda, come direbbe Michelstaedtter suscita persuasione, cioè autentica energia vitale in grado di ferire e trasformare l’esistenza dei singoli e lo sviluppo della società. Per questo, al di là degli esercizi retorici, resta importante celebrare questa giornata, anche e forse soprattutto per far conoscere alle giovani generazioni un periodo drammatico della storia vissuta dai loro nonni: con la responsabilità di presentare esempi luminosi, di ascoltare straordinari testimoni, di visitare i luoghi non soltanto con lo scopo di suscitare emozione, bensì con la formazione di quello spirito “critico” senza il quale – ahimé – la storia non è affatto “maestra di vita”.
Andrea Bellavite
Girnata della memoria non solo delle vittime ebree, ma di tutti coloro che nei campi persero la vita per le loro idee politiche o per la loro "razza" o inclinazione sessuale. In tutta la regione si è parlato moltissimo di memoria. A Monfalcone, Ronchi, Trieste, in tutta la provincia di Gorizia ci sono stati dibattiti, presentazioni di libri, film, spettacoli teatrali. Dove si è fatto di meno? A Gorizia si preparano a celebrare il Battaglione Mussolini. Anche da questo punto di vista, quello della cultura e della memoria Gorizia non è certo capoluogo, ma fanalino di coda. adg