Non c’è persona impegnata in politica che non affermi di volere la trasformazione, ad ogni elezione si parla del “nuovo che avanza”, del “cambiamento”, del “rinnovamento” possibili con la propria fazione e non invece con quella avversaria la quale sarebbe invece “vecchia”, “conservatrice” e desiderosa di lasciare le cose come stanno. Quando poi ci si chiede a cosa corrispondano queste ventate di nuovo ci si accorge che di concreta creatività ne circola poca e ciò porta a una sistematica sfiducia nella politica, ritenuta incapace (ma anche impossibilitata, in un mondo globalizzato nel quale le decisioni “che contano” vengono prese su tutt’altri tavoli rispetto a quelli della democrazia rappresentativa) di servire realmente il bene comune dei cittadini.
Tale mancanza di fiducia si traduce spesso nell’antipolitica, anticamera di derive pericolose. Forse il discorso è un po’ contro corrente, ma suscitano per esempio qualche dubbio i quotidiani generalizzati stracciamenti di vesti contro i costi della politica e i dipendenti del “pubblico”. Anzitutto sono sospetti i tempi e i modi: gli scandalosi privilegi di poco “onorevoli” parlamentari o consiglieri regionali e la lentezza della macchina statale sono stati denunciati molte volte senza che i promotori di campagne moralizzatrici riuscissero a trovare il benché minimo spazio mediatico; perché improvvisamente non si parla d’altro su giornali e tv (oltre che tra gli stessi uomini di potere che si fanno ora paladini e primi firmatari di campagne che avrebbero potuto tranquillamente sostenere da almeno trent’anni?)
Inoltre c’è il concreto rischio di indebite generalizzazioni che inducono a condannare la Politica e il servizio pubblico in quanto tali, aprendo la strada a derive demagogiche e privatistiche dove può prevalere soltanto la legge del più forte.
Infine la ricerca del capro espiatorio di turno solleva tutti dall’esercizio della responsabilità personale; per esempio, ben vengano i sacrosanti controlli della finanza nelle cittadelle vip (perché solo adesso?), ma alzi la mano chi ha il coraggio di protestare quando qualcuno propone “con la ricevuta un tot, senza un bel po’ in meno” (e tra chi propone non ci sono distinzioni tra destra e sinistra, religiosi e laici, grandi e piccoli professionisti).
Allora, che dire? Ben venga la fine dei privilegi della Casta, ma difficilmente qualcosa veramente cambierà se a pilotarne la trasformazione saranno gli stessi che ne fanno parte e se non ci sarà un soprassalto di consapevolezza civile e culturale da parte di ogni singolo cittadino.
E questa forse è la vera scuola politica, quella che promuove una nuova cultura del condividere la “polis” in grado di abilitare ciascuno ad essere “cittadino”, totalmente corresponsabile della gestione dei beni pubblici nell’esercizio della sua particolare attività: non a caso – come ripeteva il compianto procuratore della Corte dei Conti del Fvg Gianni De Luca – la Costituzione parla di “Repubblica fondata sul lavoro”: ogni persona è tenuta ad osservare i principi costituzionali, ma si diventa autenticamente “cittadini” proprio attraverso il lavoro. Ciascuno, in diversi modi, al servizio della collettività.
Andrea Bellavite
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