Quarta puntata delle riflessioni sull’urbanistica al tempo della crisi. Paolo Sergas inizia a presentare gli effetti delle scelte degli ultimi decenni. Da leggere con attenzione…
Verso il declino urbano
Fare in poche righe un bilancio complessivo degli effetti dell’urbanistica contrattata a Gorizia è un po’ difficile, un esempio significativo potrà darci la misura della questione.
La zona di ingresso da Trieste (la grande rotonda e il raccordo verso sant’Andrea, via Terza Armata, via Trieste) è un’area che è stata trasformata radicalmente negli ultimi 20 anni per dare spazio ad un miscuglio disordinato di capannoni artigianali, centri commerciali orrendi, nuclei abitati anonimi, zero servizi. Difficile e pericolosa da percorrere a piedi o in bicicletta, la zona è rischiosa anche per gli automobilisti. Ci si va per necessità e si scappa via.
E’ successo che mentre la popolazione diminuiva (da 45 a 36 mila, la città ha perso il 20% di abitanti) Gorizia si allargava, diventando troppo grande rispetto al numero dei residenti, una grande ‘non città’, priva di caratteristiche e percorsi riconoscibili, con un centro storico poco frequentato.
Il Comune ha scelto di trasferire in quella zona di ingresso una serie di attività, concesse ‘contrattando’ con investitori generalmente venuti da fuori città. Ha determinato così lo spostamento dal centro di negozi (soprattutto di abbigliamento e alimentari), di attività artigianali, uffici e anche residenze. In questo modo i goriziani si son visti costretti ad usare di più l’automobile. Gorizia è al primo posto in regione per l’uso dell’auto: una spesa spesso inevitabile e non certo un vantaggio per i cittadini. Ed è lo stesso Comune che si è fatto carico di realizzare e provvedere al mantenimento e alla gestione futura di tutte le infrastrutture necessarie in quell’area: strade, marciapiedi, servizi e reti energetiche. Con i nostri soldi naturalmente.
Gorizia è cresciuta e si è sviluppata ma chi ci ha guadagnato? Di sicuro coloro che hanno impiantato quegli orrendi capannoni sfruttando la manodopera goriziana: una volta ‘munta la vacca’ se ne andranno, lasciando lì un capannone decrepito. La città invece ha perso perché il Comune adattandosi alle esigenze del mercato, dei Famila, dei Pittarello e dei McDonald, ha desertificato la città (ricordo ancora l’editoriale di Isonzo Soca che racconta come in centro non ci passa più nessuno) e ha speso i nostri soldi in maniera sconsiderata.
Una cosa di sinistra
Tutto questo anche perché oggi vale per tutti l’ideologia della crescita e dello sviluppo.
Questo basta per fare una cosa qualsiasi e poi vantarsene, convinti di aver contribuito al progresso. Negli ultimi anni a Gorizia i due schieramenti che si sono alternati nell’amministrazione della città sembrano vivere di un patto stabile di non aggressione. Ognuno rivendica per sé la paternità dei lavori pubblici che l’uno aveva progettato e l’altro sta realizzando; entrambi vogliono accollarsene il merito. In altre occasioni viene discussa la velocità nell’esecuzione dei lavori: chi sta all’opposizione li giudica sempre troppo lenti. E così via, in un infinita altalena dell’affermare le proprie virtù e sottolineare i difetti dell’avversario. Sono solo schermaglie: si è vista una qualche differenza tra politica urbanistica del centro destra e quella del centro sinistra? Vorremmo dire che molti di quei lavori non andavano proprio fatti o comunque era meglio spendere i soldi per realizzare qualcos’altro.
Qualche amministratore dei ‘nostri’ è capace, di dire una cosa urbanisticamente di sinistra?
Paolo Sergas (fine quarta parte – continua)
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