Nella campagna elettorale in vista delle amministrative del 2007 si parlava spesso di Gorizia come “laboratorio per la pace nel mondo”. Forse non tutti sanno che il riferimento era molto meno astratto di quanto a prima vista potrebbe sembrare. All’inizio degli anni ’90, sotto l’egida dei nuovi atenei, si erano svolti nella nostra città i primi contatti tra delegazioni israeliane e palestinesi, primi fondamentali passi di un cammino che avrebbe portato agli accordi di Why Plantation; in quel periodo Gorizia ospitava spesso personaggi ben noti al pubblico mondiale, quali ad esempio Gorbacev, Shevarnadtze, il Dalai Lama, Giovanni Paolo II e tanti altri. C’era addirittura un progetto, proposto tra gli altri anche dall’Isig, “low cost” per coinvolgere gli istituti religiosi della città e altre istituzioni a Nova Gorica nella creazione di una cittadella permanente per il dialogo tra delegazioni di nazioni in guerra: cosa di meglio che trattare la pace in una piccola città di qua e di là di un allora ancora esistente confine, lontana dai troppo curiosi riflettori dell’universo mediatico globale? Ci fu perfino un grande incontro all’Auditorium di Via Roma, dove tale prospettiva per un istante sembrò prendere una forma stabile e definita. Poi tutto svanì nel nulla, chi era stato coinvolto non fece salti mortali e si preferì la disastrosa strada dell’investimento pubblico sul Conference Center, tetto di una casa della quale non erano ancora state costruite le fondamenta.
Tutto ciò per dire che Gorizia può aspirare ad essere “laboratorio per la pace”, ha le carte in regola da tutti i punti di vista: una città che ha tanto sofferto a causa delle guerre potrebbe diventare un punto di riferimento per i complessi percorsi della pace mondiale.
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