Lontano dai riflettori delle campagne elettorali, inaccessibile per disposizione ministeriale ai media, il Centro di identificazione ed espulsione di Gradisca d’Isonzo continua a svolgere la sua funzione: centinaia di persone vi transitano, “ospitate” fra le sbarre d’acciaio, isolate più possibile le une dalle altre, recluse per mesi in condizioni molto difficili. Ogni tanto giungono dei messaggi, quando ad esempio qualcuno volontariamente si ferisce e viene portato d’urgenza al pronto soccorso; oppure quando filtrano notizie di maltrattamenti, la cui dimostrazione è assai difficile a causa della mancanza di prove. La scorsa settimana alcuni consiglieri regionali hanno dovuto arrivare fino alla minaccia di un sit-in permanente per “convincere” le autorità del Cie a consentire la visione dei filmati delle telecamere interne relative al pestaggio denunciato da un detenuto. E poi, se non ci fosse nulla da nascondere, perché il divieto d’ingresso pressoché assoluto ai giornalisti, perché perfino i rappresentanti dei cittadini devono essere delegati dalla rispettiva autorità politica? Non si può dimenticare che l’ex caserma di Gradisca si trova sul territorio di uno Stato che si definisce libero e democratico: come conciliare tale affermazione con il fattuale divieto alla stampa di informare i cittadini su ciò che accade in un punto così sensibile? Il Centro di Identificazione ed Espulsione di Gradisca è una ferita da curare e una vergogna da rimarginare: nell’ambito delle loro competenze è auspicabile che anche i rappresentanti di tutte le istituzioni locali – compreso il sindaco del Comune capoluogo di provincia – non dimentichino di esercitare il controllo e di operare per un cambiamento della situazione.
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