Strano l’approccio alla questione dei diritti: tutti ne parlano e se ne fanno paladini ma spesso questi sono a senso unico. Grande attenzione alle rivoluzioni dei gelsomini, dei tulipani, delle rose, ma quando si licenziano ingiustamente i lavoratori di Pomigliano, iscritti alla FIOM, molti sono tiepidi. Ormai c’è rimasto solo Luciano Gallino a parlare di lotta di classe. E’ un termine considerato vecchio, poco complesso, troppo ideologico. La sentenza di reintegro dei lavoratori FIAT è quindi un ottimo segnale. Cosa aveva pensato quel genione di Marchionne? Chiudere lo stabilimento Fiat e riaprirlo come newco con il nome di FIP (Fabbrica Italia Pomigliano) e non riassumere tutti i lavoratori iscritti alla Fiom.Discriminazione incredibile se si pensa che gli operai non vengono ripresi a lavorare non perchè hanno rubato, sono scansafatiche o assenteisti, ma solo perchè hanno idee politiche diverse da Sergio. Dunque su 2091 operai riassunti, nessun tesserato al sindacato troppo di sinistra. La Fiom al momento del cambiamento aveva 623 iscritti, molti di loro hanno disdettato la tessera per tornare al lavoro: 147 hanno rifiutato il ricatto e adesso la sentenza, basata su giurisdizione europea, da loro ragione e potranno rientrare nello stabilimento. E poi non bisogna essere preoccupati se vogliono abolire l’articolo 18? adg
Renzi leader del centro sinistra? Non è meglio Landini?
La sentenza del giudice Anna Baroncini ristabilisce un principio fondamentale di giustizia nel devastato campo dei diritti dei lavoratori, e lo fa recependo ed applicando semplicemente le direttive europee in materia. I lavoratori in Occidente ci hanno messo due secoli ad arrivare dove stanno oggi e la loro condizione, umana ed economica, non si può certo definire invidiabile. Oggi, in nome di una supposta maggiore competitività e delle leggi del mercato, si vorrebbe cancellare anche quel minimo che essi sono riusciti a conquistare. Agitando lo spettro della recessione, della chiusura degli stabilimenti, della delocalizzazione – in Paesi dove il rispetto dei diritti umani è pari allo zero ed il costo del lavoro è talmente basso da consentire ancora cospicui margini di profitto – si sottopongono i lavoratori ad un vero e proprio ricatto e la conservazione del posto di lavoro viene spesso subordinata all'accettazione di condizioni peggiorative. Al di là della vicenda specifica di Pomigliano, La domanda sul tavolo oggi è questa: i lavoratori italiani devono adeguarsi agli standard lavorativi e retributivi di paesi come la Cina e rassegnarsi a rinunciare a diritti faticosamente conquistati? Ritengo di no,i risultati delle lotte sindacali, che in Occidente hanno portato ad un, seppur minimo, miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, vanno difesi e, semmai, esportati. E poi credo sarebbe ora di parlare finalmente di aumento dei salari, di adeguato riconoscimento del valore del lavoro anche in termini monetari: quello attuale non lo è. Il progressivo e costante deterioramento delle condizioni di vita di una larga parte della popolazione, sempre più vicina alla soglia di povertà, l'ampliarsi del divario tra una ristretta minoranza di super-ricchi e una crescente massa di poveri o poverissimi, ahime, fanno sì che la lotta di classe sia tornata di stretta attualità. Anna V.