“E’ in discussione la nostra identità…”. Chi è preoccupato di ciò si affretta ad aggiungere “…cristiana”. L’affermazione, all’apparenza innocua, è in realtà molto inquietante. Il discorso è lungo, ma urgente, in questo contesto si vuole solo aprire una discussione. Anzitutto perché il contesto di crisi economica e soprattutto occupazionale tende a costruire molto venefiche divisioni fra se-dicenti abitanti “di casa nostra” che avrebbero un diritto di precedenza e immigrati considerati al massimo come “ospiti” che dovrebbero imparare a “seguire le nostre regole” e a rispettare il predominio “della nostra religione”. In secondo luogo la presunta identità “cristiana” degli italiani è riferita esclusivamente a un vissuto di ordine pseudo culturale dal momento che la quasi totalità del cosiddetto “popolo cristiano” giace nella più crassa ignoranza anche dei più elementari principi evangelici. Tra essi ci sono quelli dell’uguaglianza di diritto e dignità fra tutti gli esseri umani, il dovere dell’accoglienza dell’altro riconosciuto come lo stesso Cristo che “ha fame e sete” o “è forestiero e in carcere” e così via. Infine – ma appunto è soltanto un “infine” riferito a questo post – sarebbe importante che chi sostiene l’esistenza di un'”identità cristiana”, sia pur a livello soltanto culturale, si interroghi: alla prova dei fatti essa non potrebbe addirittura essere lo sfondo irriflesso di catastrofi affettive simili a quelle che spesso accadono anche in territori “di provata tradizione” come ad esempio la “buona” Bassa Friulana? Sono luoghi in cui il millenario tessuto religioso/culturale di impronta essenzialmente contadina è stato in pochissimo tempo messo in discussione dal rapido diffondersi della post e ultramodernità. Difficile non pensare che questa rapidissima e molto poco accompagnata transizione sociale possa essere indolore e non provocare – soprattutto in momenti di particolare fragilità – incontrollate espressioni di carenza affettiva, depressione e violenza su di sé e sugli altri. Forse nelle omelie dovrebbe riecheggiare qualche nota autocritica da parte della Chiesa, l’istituzione che più di ogni altra si presenta come “custode” dell'”identità cristiana”; più di ogni altra ha la responsabilità di parlare non di altro, bensì dell’autentico Vangelo di Gesù, cioè quello della pace, della nonviolenza, dell’accoglienza, del perdono incondizionato, della fraternità universale, della libertà di ogni amore di coppia, per chi ci crede vertice della manifestazione dell’amore di Dio nel mondo… ab
Il problema della salvaguardia dell'identità esiste.
Tutti noi abbiamo un'identità legata all'esperienza personale di vita che ci forgia, e anche al contesto statuale nel quale siamo nati. Non si può negare. Quindi ci sono molte identità: famigliare, religiosa , culturale, nazionale. C'è chi dà più importanza a una o più di queste rispetto alle altre o chi ne sceglie solo una.
L'importante è però avere un'identità che ci caratterizzi se no trionfa il nichilismo, il relativismo assoluto che crea un vuoto in noi che ci porta ad essere nevrotici o depressi.
chiaro che ad esempio un francese può puntare sull' identità nazionale mentre un italiano al massimo può puntare sull'identità cittadina. Ma questi sono conseguenze della storia.
Penso che il problema non sia contestare l'importanza dell'identità. qualunque essa sia; Penso invece che venga visto il nemico alle identità sbagliato.
Si dice che i musulmani o gli ortodossi, o gli induisti etc. invadendo i nostri stati minacciano la nostra identità. E' falso.
Anzi loro potenziano la nostra identità perchè ci mettono in confronto con culture diverse dalle nostre e quindi per ovvia conseguenze ci spingono a delineare e definire meglio la nostra identità per capire chi siamo.
Il vero nemico delle identità è piuttosto la società di stampo americano che è appunto nichilista e relativista frutto di una società che ha a voluto tagliare i ponti negli anni '50 con la cultura d'origine(europea)(da qui la visione attuale del popolo americano come di un popolo frustrato e depresso). cosa ad esempio che non ha fatto l'Australia o il Canada dove appunto le società locali sono più coese e solidali fra loro.