“Se il lavoro vale meno economicamente e come collante sociale, anche la sinistra politica e le rappresentanze sindacali hanno le loro responsabilità e insieme, forse, l’onere della ricostruzione. Tornare a riconoscere il valore sociale del lavoro è la prima missione di una classe politica che sappia davvero interpretare le novità del XXI secolo, e ricostruirne il valore economico è il progetto più moderno del quale possa dotarsi”. E’ il frontespizio di un libro interessante nei contenuti, inquietante nell’indicazione delle prospettive, avvincente nelle conclusioni: M.PANARA, La malattia dell’Occidente, Laterza 2012.
Il lavoro vale meno perchè oggi la ricchezza si crea con la finanza e quindi la produzione di merci va in secondo piano. La sinistra però secondo me dovrebbe preoccuparsi del lavoratore, la persona che vuole vivere avendo dei diritti, non del lavoro. Non è vero ad esempio che chi è disoccupato non ha dignità, ce l'ha eccome, solo che non ha reddito, il che è diverso. Insomma va bene mettere al centro il lavoro per la sinistra, ma chiarirne anche a livello teorico il valore, il posto che deve prendere nella vita di un individuo, perchè secondo me il lavoro non è di sicuro la cosa più importante nella vita di una persona. A parte questo è chiaro che adesso, non volendo frenare la speculazione di cui sono stati maestri, i tecnici procedono alla sistematica spoliazione del fu ceto medio: prima è toccato agli operai, adesso arriviamo noi, nell'indifferenza sociale, perche con i nomi inglesi si perpetrano le politiche più inutili e ingiuste del mondo
Giustissima osservazione, al centro del discorso sul lavoro deve esserci il lavoratore, la persona, con i suoi imprescindibili diritti, tra i quali quello a vivere dignitosamente "del proprio lavoro". Altrimenti si rischia di enfatizzare il valore del lavoro tout court, addirittura di mitizzarlo: non esiste lavoro senza lavoratore e non si deve vivere per lavorare, ma lavorare per vivere! Il lavoro ha sicuramente una grande valenza sociale, nella misura in cui è strumento di emancipazione dal bisogno e dalla povertà, consente ad ogni individuo di realizzare le proprie aspirazioni e di condurre una vita dignitosa: in tal senso è indispensabile che la politica se ne occupi e provveda a creare le condizioni che garantiscano l'esercizio di tale diritto. Di non secondaria importanza, a mio parere, è poi la questione del "valore" economico da attribuire al lavoro e del suo "adeguato" riconoscimento in termini salariali. Da ultimo ritengo che, quando si parla di lavoro o di politiche del lavoro, si dovrebbe tener conto della sua funzione di valorizzazione delle singole capacità e potenzialità, promuovendo forme di occupazione che rendano il lavoro una modalità di crescita e realizzazione della persona (non solo dell'economia del paese e del suo PIL!), non sicuramente una forma di sfruttamento o avvilimento della sua dignità: un messaggio non in codice a chi di queste cose si deve occupare anche a livello legislativo. Pensate sia possibile o è pura utopia? Il libro mi sembra interessante, lo leggerò. Anna V.