Va bene, i Cappuccini chiudono per due settimane la benemerita “mensa” e giustamente ci si chiede dove i loro abituali ospiti vadano a mangiare… Ma è un problema dei frati? E’ così imprevedibile che i cuochi possano tirare il fiato nel bel mezzo del mese di agosto? Con tutto e grande rispetto per l’opera svolta, la possibilità di sopravvivere delle persone è affidata – e lo sarà sempre di più in futuro – solo al buon cuore delle istituzioni caritative e del privato sociale? In questa tormentata fase del capitalismo si sta assistendo a un sempre più rapido processo di “ottocentizzazione”: sempre meno tutele sociali e diritti garantiti ai lavoratori, freno alla libertà di stampa, rinascita dei nazionalismi, neocolonialismo, sussidiarietà della Chiesa e del volontariato a fronte del progressivo disimpegno del “pubblico”, cancellazione del welfare… Dove stiamo andando?
Stiamo tornando ai tempi descritti da Dickens nel libro "Tempi Difficili".
Un processo ineluttabile di ritorno alle condizioni del 1800.
L'unica cosa che possiamo fare e riflettere se i 90 anni di welfare state di cui l'europa a goduto sono stati utilizzati bene dal popolo per accrescersi spiritualmente oppure son serviti solo per ingrassare, vedere la tv, e abbrutirsi.
Sono d'accordo: si torna indietro a prima che le lotte dei lavoratori avessero ottenuto delle conquiste. Adesso tutte sono messe in discussione. Se qualcuno vuole essere caritatevole, lo si accetta, ma non deve essere un diritto vivere per i poveri e i disoccupati, ma una concessione benevola. Il povero deve stare attento a non tirare troppo la corda, che se no viene mandato in malora o in carcere.
Trovo interessante lo spunto di riflessione offerto da VICO e ritengo che meriti un'analisi, ma non credo che si possa mettere in discussione il welfare state. Semmai si potrebbe discutere circa gli effetti negativi che il cosiddetto benessere ha avuto sulla qualità della nostra vita nel suo complesso: quanto abbiamo guadagnato dal benessere e quanto invece abbiamo perduto in termini di valori? Quanto il benessere ha contribuito alla nostra crescita non solo materiale ma anche spirituale? O non ha, piuttosto, prodotto un impoverimento culturale oltre che umano? Quanto la cultura dominante del fare e produrre, del possedere più che dell'essere, ha segnato soprattutto gli ultimi tre-quattro decenni della nostra storia? Interessante interrogativo, sicuramente da riprendere, ma mi fermerei per ora alla notizia apparsa sul Piccolo e ripresa nel post iniziale. Sempre più spesso, di questi tempi, accade di leggere di situazioni che riportano con la memoria a scenari da dopoguerra: nel modernissimo, civilissimo ed evolutissimo Occidente assistiamo ad un rapido ed inesorabile declino, che si materializza nelle storie di gente comune che perde il lavoro, di persone che, nel giro di pochi mesi non riescono più a sostenere le spese per casa, sanità, istruzione dei figli, persone per le quali perfino assicurare a se stessi ed ai propri figli dei pasti decenti ed un tetto sulla testa diventa un'impresa impossibile. I quotidiani raccontano con frequenza davvero impressionante casi di ordinaria disperazione, che spesso sfociano in atti estremi, situazioni che evocano immagini di film del neorealismo: ma cosa ci ha condotto fino a questo punto? Dove si è inceppato il meccanismo del modello economico-sociale capitalistico, che si presumeva perfetto? E chi deve farsi carico di questo aumentato bisogno? Possibile che si debba far affidamento sempre e solo sulla solidarietà e sull'impegno caritatevole di associazioni di volontariato? Mi chiedo – a costo di apparire naif – se non sia possibile immaginare e realizzare un diverso modello di sviluppo economico e sociale che consenta a tutti una vita dignitosa senza dover ricorrere alla benevolenza ed alla carità di altri. Di cosa ha bisogno una persona per vivere in modo dignitoso? Che vengano soddisfatti i bisogni materiali primari e secondari( acqua e nutrimento sufficiente, una casa confortevole, abbigliamento essenziale per ogni situazione meteorologica, un ambiente non inquinato, cure mediche, ) e quelli immateriali, spirituali, psicologici, emotivo-affettivi (calore umano, relazioni sociali e affettive basate su fiducia e solidarietà, un lavoro adeguatamente retribuito e rispettoso della dignità e della salute, non schiavizzante o alienante, da svolgere in piena sicurezza, istruzione, cultura e arte per il proprio arricchimento intellettuale e spirituale, tempo per ritemprarsi dalla fatica attraverso il riposo e lo svago). Mi spingo ancora più in là, consapevole del rischio che l'utopia porta in sé, e chiedo: volendo quantificare tutto questo in termini di soldi, quanto ci vuole per assicurare questo bagaglio essenziale ad ogni essere umano? Siamo in tanti sulla terra, abbiamo superato la soglia dei sette miliardi, perciò, quanti miliardi di miliardi di miliardi servirebbero? Tanti, tantissimi, ma ci sono persone al mondo, poche, che possiedono patrimoni strabilianti, cifre da capogiro che leggiamo sui giornali e ascoltiamo alla tv e che facciamo fatica persino a pronunciare: è davvero così irrazionale e poco realistico pensare che quell'enorme ricchezza possa essere redistribuita tra tutti in modo da dare una risposta ai bisogni essenziali di ogni uomo? E se si riuscisse a fare ciò, saremmo tutti più poveri, come sostengono alcuni, o forse vivremmo tutti mediamente meglio? C'è qualcuno tra gli esperti della materia che possa rispondere, cifre alla mano? Quanti saranno ancora condannati a fare la coda alla mensa dei poveri? Quanti sono destinati a diventare potenziali"ladri di biciclette"? Anna V.
@Anna V.
Rispondo alla lunga e-mail dividendola in 3 parti.
1)"nel modernissimo, civilissimo ed evolutissimo Occidente" il nostro mondo post guerra fredda non è nè modernissimo nè civlissimo nè evolutissimo. E' un mondo che ha come obiettivo quello di tornare indietro: il modello è l'inghilterra e l'impero britannico ottocentesco. Oviammente se lo dicessero chiaramente: "popoli della terra adesso che la minaccia comunista non esiste più possiamo tornare ai bei tempi d'oro dell'800" tutti reagirebbero. quindi gli strateghi della comunicazione cosa hanno fatto? hanno detto che questo andare verso il passato è andare verso il futuro.
2 "quanto abbiamo guadagnato dal benessere e quanto invece abbiamo perduto in termini di valori?" dal punto di vista materiale tantissimo. abbiamo avuto quella che roosevelt chiamava la libertà dal bisogno.
dal punto di vista dei valori invece ci siamo abbruttiti soprattutto dagli anni 80 in su cedendo alla sirena del consumismo.
3"volendo quantificare tutto questo in termini di soldi, quanto ci vuole per assicurare questo bagaglio essenziale ad ogni essere umano?"
meno di quello che serve adesso per arricchire i supericchi. Perchè all'uomo basta un'appartamento garantito, la sanità gratuita e l'istruzione. Per quanto riguarda i valori menno soldi circolano e più i valori crescono e prosperano. La forza dei valori è inversamente proporzionale alla quantità di soldi che uno possiede. come diceva la Chiesa quando ancora adempiva al suo compito di guida della società: "il denaro sterco del demonio!".