Province sì, province no… Proposte di referendum, proposte di legge, comitati e commissioni… Tutti a discutere se e come riformare l’istituto “provincia”. A livello di non addetti ai lavori se ne parla con la stessa competenza di quando si discute del delitto riportato il giorno prima sui giornali: nessuno ha la minima idea di cosa sia accaduto, ma procedendo dalle ricostruzioni ancora fantasiose ognuno ha un parere da esprimere, un’idea su chi è colpevole e chi è innocente. Chi sa infatti a cosa servono le province? Quali sono le competenze e quali le conseguenze sugli altri enti di una loro cancellazione o ridimensionamento? Il dibattito in corso sembra incentrato per lo più su questioni di numeri o di confini geografici, molto meno si affrontano temi concreti, quali la ridefinizione dei ruoli delle istituzioni legate alla dimensione provinciale (ad esempio il tribunale, l’ufficio scolastico provinciale, l’edilizia popolare e così via) o la frammentazione delle relazioni tra l’ente regionale centrale e i singoli Comuni (in Friuli Venezia Giulia molto piccoli e ben lontani da una piena integrazione di servizi o addirittura da un possibile accorpamento). Ben venga dunque un risparmio determinato dal “taglio” di enti riconosciuti inutili, ma possibilmente il dibattito dovrebbe spostarsi sulla dimostrazione di tale inutilità e sulla concretezza di serie proposte alternative.
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