Spente le luci e smorzati i suoni della festa, che cosa incontra realmente il nuovo Vescovo di Gorizia? Un mondo in grande fermento, purtroppo tutto caratterizzato dall’avanzare della “crisi”, condivisa nei diversi ambiti con l’intero “occidente”, ma anche con alcune specificità locali. Per quanto riguarda il mondo del lavoro, le principali aziende sono in grave difficoltà, nel “Monfalconese” inoltre il trasfertismo ha generato una vera e propria sfida all’inclusione sociale dagli esiti incerti; i poli turistici e archeologici sono in grave difficoltà, il calo delle presenze si constata anche a occhio; il “Goriziano” non ha ancora intrapreso con convinzione l’unica strada possibile, quella dell’integrazione tra le istituzioni della Gorizia/Gorica (stara e nova) e delle Valli dell’Isonzo e del Vipacco, e il conteggio demografico racconta impietosamente la realtà; a livello politico il conflitto latente tra gli “interessi” dei singoli Comuni rende quasi insignificante la “presenza” a livello regionale e nazionale, con la conseguente “perdita di pezzi” pregiati. Dal punto di vista ecclesiale, l’Arcidiocesi – tra l’altro unico “ente” (se così si può definire) che “sottomette” l’omologo di Trieste senza alcun rischio di capovolgimento delle sorti – ha percorso in questi ultimi anni due vie alternative: da una parte quella del Vescovo De Antoni che ha cercato di suggerire con grande delicatezza un metodo pastorale improntato sulla centralità della persona piuttosto che sull’efficienza dell’organizzazione, sul primato dell’essere piuttosto che su quello del fare; dall’altra quella di un sostanziale disinteresse della “base” davanti a tale prospettiva attraverso risposte – dogmatiche tradizionaliste o socio-assistenziali progressiste – generalmente stanche e inincidenti rispetto alle urgenze del momento. Un consiglio? Tornare al testo del dimenticato II Sinodo dell’Arcidiocesi e filtrarne le caratteristiche fortemente innovative con la paziente attenzione proposta da De Antoni. Andrea Bellavite
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