A seguito di un mio recente viaggio a Cipro ho visitato la capitale Nicosia. Mi ha fatto specie che nella guida del Touring Club la capitale cipriota fosse associata a Berlino e Gorizia, come esempio di ultima città europea ancora divisa in due. La divisione di Nicosia risale al 1964, appena 4 anni dopo l’indipendenza dell’ex-colonia britannica, quando un generale inglese, per porre fine alle gravi violenze esplose tra le due comunità greca e turca, tracciò con l’inchiostro verde una linea che divise la città: la greca Lefkosia al Sud, la turca Lefkosa al Nord. Nel 1974 la divisione fu estesa a tutta l’isola. Perché ne parlo in un contesto goriziano? Perché nel breve soggiorno a Lefkosia ho potuto osservare dei meccanismi che si erano manifestati anche nella dolorosa divisione tra Gorizia e Nova Gorica. Appena giunta alla periferia della città ho osservato, sulle colline di fronte, una grande bandiera turca disegnata sul pendio, che mi ha ricordato le scritte della propaganda pro Tito sulle pendici del Sabotino. Alla sera la bandiera si illumina, un po’ alla volta: prima la mezzaluna, poi la stella, poi il contorno della bandiera, ben visibile da ogni finestra della Lefkosia greca, poi si spegne e si riaccende per tutta la notte. Anche il canto del muezzin cinque volte al giorno è ben udibile nella parte greca e ricorda agli abitanti del Sud la presenza del vicino turco. L’incontro con la linea verde è piuttosto impressionante: bidoni bianchi e azzurri e sacchi di sabbia stazionano davanti a pesanti cancelli di ferro, adornati da abbondante filo spinato. Tra le due città la zona cuscinetto consiste in vecchie case abbandonate, lasciate in rovina, con i muri segnati dagli scontri a fuoco del 1974. Il centro storico della città è assai compatto, perché è attorniato dalle mura veneziane, che ricordano quelle di Palmanova, ma la divisione della linea verde ha costretto a creare due nuovi centri città. Al Sud la piazza Plateia Eleftherias, da parecchi anni sottosopra per l’ambizioso progetto dell’architetto di fama mondiale Zaha Hadid (progettista anche del Maxxi, nel quartiere Flaminio a Roma); al Nord probabilmente non si sono posti il problema, ma la grande moschea di Selimiye, una chiesa gotica del 1200 in stile francese alla quale nel 1500 gli ottomani aggiunsero due minareti sui quali sventolano le bandiere turca e turco-cipriota, rappresenta il riferimento più importante per la città turca. Dal 2003 la linea verde non è più invalicabile: due chek point permettono di passare facilmente dal Sud al Nord e viceversa. I turco ciprioti ne hanno approfittato per raggiungere ogni giorno la parte Sud, dove al mattino si recano a lavorare, mentre i greco ciprioti vanno al Nord a fare compere a prezzi vantaggiosi e soprattutto alla sera per giocare nei luccicanti casinò della parte turca. Richiama le dinamiche del nostro confine. Anche il passaggio del check point mi ha ricordato il nostro passato confine, con i militari greco ciprioti del tutto indifferenti al via vai di locali e turisti e i turchi più solerti, a redigere i necessari pass su degli informali foglietti bianchi e di tanto in tanto controllare qualche borsa. Il passaggio dall’elegante via pedonale Ledra streeta con negozi e locali simili a quelli di qualsiasi nostro centro urbano, alla Girne caddesi dalla parte turca che rimanda al clima mediorientale, è molto brusco. Servono due mappe, perché quella acquistata al Sud oltre alla linea verde riporta solo un reticolo di strade su sfondo bianco, senza alcuna indicazione con l’unica eccezione della cattedrale di Santa Sofia (che in realtà è la moschea di Selimiye); così come la carta dell’ufficio informazioni turistiche turco è totalmente bianca nella parte bassa. Anche questo ci ricorda i piani urbanistici di Gorizia, che si fermano inderogabilmente al confine, oltre il quale c’è solo uno spazio bianco e lo stesso per i corrispondenti piani di Nova Gorica. Altrettanto divisa è la memoria: nella parte greca si trova il Museo della lotta nazionale, che esalta la lotta di liberazione di Cipro dal dominio inglese tra il 1955 e il 1959; nella parte turca il Museo della Barbarie, che descrive le atrocità commesse dai greco-ciprioti contro la comunità turca fino al 1974 e anche il problema di raggiungere una memoria condivisa non ci suona affatto nuovo. In entrambe le città la vita continua: si sposano, stanno fuori nei bar a chiacchierare e vedono le partite di calcio sui maxi schermi, accompagnano i bambini a scuola… non ci sono buoni o cattivi ma solo persone con usi e costumi diversi. Comunque il kebab è comune da entrambe le parti così come la birra, il caffè è lo stesso anche se uno lo chiama turco e l’altro cipriota, e la guida delle auto è sempre a sinistra. Infine la UE di fatto non sta contribuendo al processo di riunificazione tra la parte sud e nord (si veda anche l’opposizione di Francia e Germania all’ingresso della Turchia nella UE). Gli unici tentativi sono stati fatti dall’ONU, tutti miseramente falliti ed il risultato è che la legittimità internazionale di Cipro Nord ad oggi è riconosciuta dalla sola Turchia. Aggiungo inoltre che sono abbastanza inquietanti i rapporti di Cipro con Putin, al quale il Presidente cipriota ha richiesto un prestito per evitare il default e che molto probabilmente entrerà (con Gazprom) nel business dello sfruttamento dei giacimenti di gas al largo delle coste cipriote. arch. Paola Barban
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