Si discute molto sul futuro di Gorizia in questi ultimi giorni. Gli ultimi “pezzi” che sembrano in procinto di staccarsi sono il Punto Nascita e la Pozzuolo. Come in ogni altra precedente occasione, si chiamano a raccolta i cittadini dell’intera provincia per contrastare l’apparentemente inarrestabile corrente distruttiva.
L’amministrazione comunale fa finta di alzare la voce, ma in pratica da una parte il sindaco Romoli non va oltre alle solite vaghe minacce di “non arrendersi” (sic!) di fronte alla “fuga” dei militari, dall’altra l’assessore Obizzi alimenta ulteriore confusione proponendo un esposto contro i pediatri “anti-goriziani” e suscitando la piena solidarietà dei colleghi udinesi nei confronti di questi ultimi.
La vera domanda non è “come fermare la marginalizzazione di Gorizia?” ma “cosa fare perché Gorizia non sia più ai margini?” E’ una questione essenzialmente politica che il Forum per Gorizia, dopo e insieme alla rivista Isonzo Soca, ha proposto mille volte ai cittadini, anche attraverso l’impegno nelle elezioni amministrative nel 2007 e nel 2011/12.
L’unica possibilità per rilanciare Gorizia era ed è ragionare in termini di territorio Goriziano: ovvero unire in un’ampia aggregazione centro europea i Comuni transfrontalieri della provincia di Gorizia, di Nova Gorica e delle valli dell’Isonzo e del Vipacco. Non è un’idea nuova, oltre vent’anni fa molti, anzi moltissimi goriziani avevano sottoscritto la proposta di una sanità transfrontaliera, prevedendo la ristrutturazione dell’ospedale di Via Vittorio Veneto in sintonia con la costruzione di stabili legami operativi con quello di Sempeter, duecento metri più in là. Poteva essere l’inizio di una nuova fase della storia, invece si sa come andò: i maggiorenti regionali – tra i quali l’attuale sindaco Romoli – preferirono il San Giovanni di Dio e da lì di fatto iniziò la discesa sul piano inclinato della marginalità.
In realtà chi ha amministrato la città negli ultimi 21 anni (5 centro sinistra, 16 centro destra) non sembra aver mai creduto all’importanza di costruire insieme una “zona” di qua e di là del confine, per favorire scambi commerciali, imprenditoria e soprattutto riscoperta dei comuni fondamenti storico-culturali; fino a pochi mesi fa proposte del genere erano tacciate di “simpatie slavocomuniste” da autorevoli esponenti della prima Giunta Romoli. Il Gect – struttura in sé straordinariamente importante – dopo anni di chiacchiere è ancora al palo di partenza, reso impotente dalla mancanza di chiarezza sugli obiettivi e soprattutto dalla mancanza di fondi investiti per trasformare i sogni in realtà (leggi per esempio nomina e pagamento dello stipendio di qualche funzionario esperto e competente in materia).
Per questo non ci si può che associare al comune lamento, ma nello stesso tempo non si può che notare che la situazione di Gorizia non è l’esito di un’imprevedibile malattia bensì di una serie di precise scelte politiche operate in passato e nel presente da coloro che gli elettori hanno scelto come propri rappresentanti nell’amministrazione della città.
Si è ancora in tempo per cambiare rotta? Forse sì, certamente il tutto potrebbe essere agevolato da un gesto di responsabilità: le dimissioni di Giunta e Consiglio Comunale, la preparazione di nuove elezioni sulla base di un programma “di solidarietà cittadina” che abbia al suo centro non la romoliana “amministrazione di condominio”, ma la costruzione di un polo internazionale di imprenditoria e di cultura.
Andrea Bellavite
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