Insomma, periodo di grandi cambiamenti: entro un paio di mesi avremo un nuovo Papa, un nuovo Presidente della Repubblica, un nuovo Capo del Governo, un nuovo Governatore del Friuli Venezia Giulia…
I 115 cardinali sono arrivati tutti a Roma, probabilmente entro il 20 marzo inizierà (e presumibilmente anche finirà) il Conclave. Chi eleggeranno, dopo le dimissioni “rivoluzionarie” di Josef Ratzinger? La “previsione” è molto difficile, anche perché – a differenza di quanto accaduto otto anni fa, quando il ruolo del prescelto, la sua autorevolezza e la dimestichezza con il predecessore erano difficilmente discutibili – nessun elettore ha in questo momento i numeri per “entrare Papa”.
Più semplice la previsione (o l’auspicio) su chi con ogni probabilità non sarà il prossimo pontefice.
Anzitutto gli italiani che i giornali definiscono in pole position: l’arcivescovo di Milano Scola ha molti amici e altrettanti (troppi) avversari, uomo “di parte”, ciellino doc “raccomandato” a Benedetto XVI dal successore di don Giussani per “sistemare” la grande diocesi ambrosiana; il Segretario di Stato Bertone è stato “bruciato” dallo scandalo Vatileaks e – a leggere il famoso libro inchiesta di Nuzzi – come minimo non ha controllato la degenerazione delle “baruffe” fra lo stesso Vaticano e la Conferenza Episcopale Italiana; il presidente dei vescovi Bagnasco sembra anch’egli troppo coinvolto – sul fronte opposto – nei dolorosi scambi di fioretto tra “eccellenze”/”eminenze” collegate all’uno o all’altro potentato economico-politico del Bel Paese; il biblista Ravasi manca di quell’esperienza pastorale “sul campo” che sembra essere un requisito fondamentale nel tempo della nuova evangelizzazione. Qualche chance potrebbe averla il meno citato arcivescovo di Firenze Betori, insigne studioso, esperto di chiesa nazionale e di episcopati europei, appezzata guida di una delle più complesse realtà cattoliche italiane.
Poi assai poche possibilità sono da attribuire ai cardinali dei Paesi in via di sviluppo, in particolare agli africani: le loro comunità sono troppo condizionate dall’immensa povertà delle popolazioni e chi ha potuto raggiungere posizioni di vertice ha di solito giurato fedeltà incondizionata a Roma, vivendo una vita talmente diversa da quella dei rispettivi “fedeli” da mettere fortemente in dubbio la loro effettiva rappresentatività. Qualche possibilità in più l’hanno i portacolori dell’America Latina, anche se i presuli nominati negli ultimi trent’anni hanno preso molto sul serio il compito di “normalizzare” le comunità di base e la teologia della liberazione, il cui sviluppo era apparso come uno dei segni più vivaci e promettenti del Vaticano II. Difficile anche prevedere un papa asiatico, dove in generale i cattolici sono una minoranza che deve cercare di sopravvivere a molte difficoltà: con l’eccezione delle Filippine, il cui cardinale sembra avere anche una certa dimestichezza con l’universo mediatico, ma senz’altro non sembra in grado di far convergere sul suo nome i due terzi di consensi necessari.
Cosa resta? Il resto d’Europa e il Nord America, ovvero quello che convenzionalmente si chiama “Occidente”. Con ogni probabilità sarà questo l’ambito geografico da cui sarà scelto il Papa nel tempo della crisi del capitalismo, un vescovo residenziale di qualche grande metropoli, comunque in grado di comprendere i meccanismi pastorali, ma anche di interloquire con i politici ed economici che determinano l’attuale momento della storia del mondo. Potrà rappresentare universi multiculturali – si pensi ad esempio a New York, alle capitali canadesi, a Parigi o a Berlino – ed essere paladino del superamento delle divisioni fra le chiese cristiane e del dialogo fruttuoso con le religioni non cristiane.
Oppure? Oppure, in tempo di grandi trasformazioni, potrebbe esserci la grande sorpresa, l’elezione di un vescovo fuori da un collegio cardinalizio troppo diviso per trovare un accordo o talmente aperto alla novità da spalancare una nuova – comunque giuridicamente possibile – porta: la scelta di un “extra”, super partes ma stimato dai più, in grado di prendere in mano la Chiesa e di avviare la Grande Riforma, di fatto congelata da cinquant’anni, dal tempo favorevole del Concilio.
Andrea Bellavite
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