Ci voleva il “Garante per i detenuti” – figura che sta per essere opportunamente istituita anche a livello di Provincia di Gorizia – proveniente dal Lazio, per sollevare di nuovo il velo di silenzio che ordinariamente circonda il Centro di Identificazione ed Espulsione (CIE) di Gradisca d’Isonzo. Non che sia la prima volta che se ne parla: associazioni di volontariato, singoli personaggi politici, qualche raro giornalista che ha ottenuto il permesso di entrare, hanno voluto raccontare al mondo “di fuori” come stanno vivendo le persone recluse. Tuttavia le loro circostanziate denunce non hanno mai ottenuto alcun effetto. Il “Centro”, previsto dalla famigerata “Bossi-Fini” e aperto dal Governo di Centro Sinistra, continua a produrre una sofferenza nascosta dietro l’alto muro divisorio di fronte al quale passano ogni giorno, ignari, migliaia di automobilisti che percorrono la Statale Udine – Trieste. Cosa accadrà dopo l’ennesimo rilievo sollevato dal “Garante” del Lazio? Purtroppo non c’è da essere ottimisti, con ogni probabilità tutto rimarrà come prima, anche a causa dell’infinita serie di controversie legali che caratterizzano fin dall’inizio l’assegnazione degli appalti per la complessa “macchina gestionale”. La situazione è ben più grave di quella che era stata preconizzata dalle proteste dei tempi lontani, precedenti e immediatamente seguenti l’apertura: quando si sottoscriverà la parola “fine” a una forma di detenzione che – come tutto ciò che riguarda la realtà della detenzione in Italia – è un pessimo biglietto da visita riguardo alla difesa dei diritti della persona e alla libertà di informazione?
Oggi il fatto quotidiano parla dell'aumento dei dati dei suicidi, cresciuti negli ultimi due anni del 18% (in Grecia del 40%: crimini umanitari, lo ribadisco). In questa situazione, con un milione in più di disoccupati il problema del CIE, in generale dei migranti, rischia di passare in secondo piano. Io sono molto preoccupata per la situazione che viviamo. A farne le spese saranno i più poveri. Quindi i discorsi del tutti a casa, degli zombi, dei morti che parlano che dice Grillo non colpiscono i più ricchi, che dello sfascio si sono ben accorti e che hanno portato i soldi all'estero, ma i più poveri o comunque chi non ha nessuno che li protegge. Sono pochi 40 giorni per misurare le proposte politiche dei 5 stelle? Sarà, ma che a cuore le sorti del paese non può starsene con le mani in mano ad aspettare i vari inciuci per portare acqua al proprio mulino.
Quello dei centri di identificazione ed espulsione è un problema gravissimo sotto il profilo dei diritti umani, così come quello delle carceri italiane in generale: credo che il peccato originale di queste strutture, i CIE, stia proprio nella loro impostazione, ossia nella pretesa di risolvere quello che è considerato un problema di ordine pubblico ammassando in luoghi di detenzione più simili a dei lager tutti i disgraziati che hanno commesso il "grave reato" di immigrazione clandestina o, nel caso delle carceri, piccoli spacciatori e autori di piccoli furti e reati minori assieme a veri criminali, pluriomicidi, autori di stragi affiliati alle grandi organizzazioni criminali e così via. Il risultato è che, lungi dall'adempiere alla propria funzione rieducativa e preparare i detenuti al rientro nella società ed al ritorno ad una vita normale, la permanenza in quegli istituti ed in condizioni disumane e disumanizzanti, produce l'effetto disastroso del lento ed inesorabile scivolamento anche dei detenuti accusati di reati minori verso un generale abbrutimento, spingendoli di fatto nell'angolo buio dell'omologazione ai responsabili dei peggiori delitti. A chi giova tutto questo? Non certo ai detenuti, né alla loro riabilitazione, né alla società, visto che prima o poi molti di essi torneranno in circolazione senza aver imparato nulla né sul piano umano né su quello professionale, anzi, per molti versi peggiorati a causa della violenza subita, fisica e psicologica, della violazione della dignità, dell'affollata solitudine, un ossimoro che rende bene la situazione della maggior parte di quei "luoghi di pena". Naturalmente in carcere non vedremo mai nessuno dei tanti delinquenti in giacca e cravatta, i famigerati "colletti bianchi", protetti dall'immunità parlamentare o dalla connivenza delle istituzioni e dei poteri forti (banchieri, amministratori, dirigenti pubblici, supermanager, politici corrotti e corruttori, abili faccendieri che agiscono nell'ombra, professionisti dell'equilibrismo tra legalità e illegalità), quelli che hanno ridotto il Paese in macerie, quei "signori", o per raggiunti limiti d'età, o per l'intercessione della santa prescrizione, o perché hanno un sacco di soldi da spendere in avvocati, il loro debito con la giustizia non lo hanno mai pagato – e chissà se mai lo pagheranno – al massimo si beccano i domiciliari, da scontare nelle loro numerose e lussuose residenze. Alla faccia della giustizia ed in spregio del principio che la legge è uguale per tutti, monumento vivente alla disonestà ed alla furbizia, offesa alla moralità ed all'onestà di tanti cittadini perbene. Urge una seria riforma del regime carcerario e degli istituti di pena, l'abolizione dei CIE, l'introduzione di un principio di gradualità della pena rispetto al reato commesso e, di conseguenza, lo studio di forme e strumenti alternativi di vera rieducazione e riabilitazione della dignità di coloro che, avendo commesso un reato, stanno pagando il loro conto alla giustizia: deputati e senatori eletti al Parlamento dovrebbero farsi carico con sollecitudine di questa e delle tante urgenze sociali ed economiche che attendono una soluzione, anziché titillare il proprio ego smisurato nel finto scontro ideologico che condanna il Paese all'immobilità. Anna V.
Come dicevo in altri commenti su questo stesso blog, sino al cinque/sei anni fa ho avuto la ventura di lavorare a livello sindacale all'attività di informatizzazione dei rinnovi dei permessi per i cittadini migranti, e spesso mi sono capitati i casi dei giovani non accompagnati che poco prima del compiersi del 18 anno venivano posti dai C.I.E. nell'avventura della ricerca di un lavoro per poter avere un permesso a rimanere in Italia, e quella era una frazione pur significativa anche se minore della varia umanità che passava per i C.I.E.
Forse dovreste far parlare di più anche su questo blog gli operatori e i dirigenti sindacali di CGIL CISL e UIL e dei rispettivi patronati, delle ACLI, delle Caritas diocesane, sulla loro esperienza di contatto al servizio dei cittadini migranti, ma anche con chi li governa dagli uffici delle Prefetture, delle Questure,delle Amministrazioni Provinciali con gli Uffici Provinciali del Lavoro, dell'Ispettorato del Lavoro etc. INPS, INAIL, POSTE. Allarghereste l'orizzonte a chi ha lavorato attraverso la Rete, non con gli urli di Beppe G., ma con modestia e alacrità, per la difesa e l'affermazione tenace dei diritti di cittadinanza in questo paese.
Buona sera. Anonymus de Anonymis