Vittime o caduti: interessante la riflessione contenuta in una lettera indirizzata a Furio Colombo – e nella successiva risposta dello stesso Colombo – apparsa oggi sulla mail box del Fatto Quotidiano, in cui una signora solleva giustamente la questione del diverso onore che si tributa alle vittime del lavoro ed ai caduti in guerra, a partire dalla connotazione passiva che la parola “vittima” attribuisce a coloro che hanno perso la vita per e sul lavoro, mentre il termine “caduti” è riservato a soldati ed ha sempre una connotazione positiva, indicando nel caduto il protagonista di un’azione eroica. Invitandovi alla lettura del testo integrale, mi pare opportuno soffermarmi su questa strana distinzione, a due giorni dalle celebrazioni del I° maggio, contrassegnate da tante polemiche, e sottolinearne l’inadeguatezza, soprattutto in un periodo che, purtroppo, ci consegna quotidianamente dimensioni apocalittiche di incidenti sul lavoro, vere e proprie stragi di persone che, come giustamente sottolinea Colombo, sono eccome “protagoniste”, soggetti attivi del processo produttivo, che affrontano continuamente pericoli e rischi e che, proprio in virtù di questo, quando ne rimangono vittime dovrebbero essere onorati almeno al pari dei soldati, ma dal mio punto di vista sicuramente molto di più. Di più perché: in primo luogo non sono pagati quanto un soldato; in secondo luogo perché, mentre chi sceglie la carriera militare sa di correre dei rischi e lo mette in conto, al contrario, chi lavora in una fabbrica o in una miniera il più delle volte non ha avuto possibilità di scelta e non si aspetta di dover correre dei rischi; infine tutti coloro che sul lavoro e per lavoro hanno perduto la salute e la vita sono i veri eroi del nostro tempo, perché il mondo del lavoro attuale è una vera e propria guerra, spietata e senza regole, che quotidianamente lascia sul campo centinaia di morti e dove conta solo quanto rendi, quanto profitto e ricchezza crei, naturalmente per altri, dove la vita vale meno del prodotto finale. Mentre si aggrava il bilancio dei morti (oltre 400 ormai) del crollo di qualche giorno fa in Bangladesh e sale ad oltre 100 il numero delle vittime del crollo di una miniera illegale per l’estrazione dell’oro nel Darfur, anch’essa notizia di alcuni giorni fa, mi domando con rabbia e tristezza quando avrà fine tutto questo e, al di là del doveroso tributo d’onore, cosa possiamo fare per fermare questa orrenda strage. Anna V.
Caduti sul lavoro nell'indifferenza sociale, in generale, ma a volte pure da chi ha ruoli e doveri nel vigilare sul rispetto delle norme della sicurezza, che dopo la legge 626 e le leggi successive di alleggerimento dei controlli in materia emanate dai governi succedutisi nel ventennio di centrodx. Per portare un esempio nella Regione del Veneto(ed in Friuli il caso non dovrebbe essere diverso)da molti anni esiste il registro delle morti derivanti da neoplasia (il mesotelioma)da amianto e derivati,ed invece ancor oggi le vedove di quei caduti debbono duramente e giudizialmente confliggere, coi datori e con l'INAIL per ottenere il giusto indennizzo per la perdita dei loro cari, quando il solo fatto che venga registrata e quindi accertata dalla sanità pubblica che la "causa mortis" è tale neoplasia da lavoro in rischio patente da amianto, dovrebbe poter consentire l'immediatezza e l'automaticità del diritto alle vedove ed agli orfani od ai lavoratori accertati invalidi permanenti, ed invece questi debbono sopportare battaglie spossanti per riportare alla verità un onere di prova del rischio lavorativo che è già certo per le strutture della Sanità Pubblica. Ora non ho presente su questi temi e su tali fatti come si sia presi gli impegni la governatrice Debora Serracchiani, spero però che faccia piazza pulita di tante cristallizzazioni del diritto del lavoro, anche là dove le istituzioni dello Stato e di garanzia dovrebbero coordinarsi fra loro e garantire ed
affermare i diritti dei cittadini lavoratori e dei loro superstiti. Giustizia, uguaglianza e libertà sempre! per gli oppressi del lavoro.
Anonymus de Anonymis.
"Caduto = Eroe", "Vittima = …. (in veneto)" era stato oggetto di una breve riflessione di Marco Paolini nello spettacolo MISERABILI, io e M. Thatcher teletrasmesso su La7 da Taranto. Si terminava con "la libertà e' partecipazione" di Gaber. Solo un ricordo da uno che si sente un "mona" (sempre in veneto).
Interessante la riflessione di Paolini, anche se non è esplicita, ci gira un po' attorno all'aspetto del portato sociale e culturale di chi si sente pure ancora un po' "mona", che va tradotto e che raffigura il mezzadro che "col capel in man 'l speta a testa bassa, che'l so' paron(l'agrario concedente)ghe daga 'l scomio (lo sfratto a San Martino)dixendoghe anca siorsì, alla faccia delle fatiche della sua intera famiglia. Da qui tanti esodi verso le città appena industrializzate, e poco o nullo riscatto da veri cittadini. Fate bene voi a celebrare i Tolminotti a Gorizia che si ribellarono già tre secoli fa. Anche se durante la Resistenza moltissimi di questi mezzadri divennero partigiani sui monti e nelle pianure. Buona serata. Anonymus de Anonymis