Ho incontrato Giulio Andreotti insieme al prof. Alberto Gasparini nel luglio 2001. Era nel suo studio di senatore a vita; lo abbiamo intervistato riguardo alla tematica delle “città divise”, chiedendogli se a suo parere era possibile che il caso Gorizia potesse essere emblematico e paradigmatico anche a livello planetario. Accolse con interesse le nostre osservazioni e accettò di mediare la “costruzione” di un grande incontro che si tenne nell’autunno dello stesso anno presso l’Auditorium di Via Roma a Gorizia, alla presenza dei più accreditati accademici di Gerusalemme, Mosca, Lubiana, Udine e Trieste. Gli esposi il progetto di svolgere all’indomani un servizio giornalistico sul G8 che si stava avviando in quei giorni a Genova: mi rispose che, secondo le sue fonti, probabilmente le cose non si sarebbero svolte pacificamente. Fu molto cordiale, ci gratificò dei suoi ironici sorrisi e di qualche sua “battuta”, ne uscimmo dopo un’ora di colloquio con l’impressione di aver incontrato una parte importante – nel bene e nel male – della storia d’Italia.
Un altro incontro fu nell’Arcivescovado di Gorizia, intorno al 1985, quando Andreotti venne a trovare l’Arcivescovo Bommarco, con il quale intratteneva un’interessante corrispondenza. Ci descrisse fra l’altro il progetto dell’idrovia Sava – Isonzo, un’idea fantascientifica che avrebbe – secondo lui – risolto la questione dei traffici est ovest attraverso la costruzione di un grande canale navigabile in galleria, in grado di consentire il traffico marittimo diretto fra Lubiana, Gorizia e Trieste. L’idea era ispirata dal viaggio degli Argonauti, che secondo un’antica tradizione avrebbero caricato a spalle la loro grande nave, portandola dalle sorgenti della Ljubljanica alle foci del Timavo.
In queste ore sono tante le interpretazioni e le valutazioni su un’esistenza che ha attraversato l’intera storia politica italiana, dalla fine della II guerra mondiale ai giorni nostri. Certamente molti sono i segreti che Andreotti ha portato nella tomba, riguardanti i rapporti tra Democrazia Cristiana e Stati Uniti, Dc e Mafia, Dc e Chiesa italiana, strategie della tensione e quant’altro. La vicinanza spirituale e politica con gli alti esponenti vaticani fa di lui forse l’ultimo costantiniano: non certamente imperatore, ma senz’altro uomo di governo secondo le regole di un cattolicesimo che ha bisogno della gestione del potere politico economico e sociale per potersi difendere e per potersi affermare. Non a caso Andreotti è stato l’uomo di Stato più amato da Comunione e Liberazione – il più costantiniano dei movimenti ecclesiali contemporanei – al quale ha portato notevoli appoggi finanziari (e qualche guaio giudiziario, come nel caso della rivista “Il Sabato” di Sbardella) e dal quale ha ricevuto nei tempi migliori interi bacini di elettori, nell’epoca del tramonto il prestigio di dirigere il mensile ciellino internazionale “30 Giorni”. E non a caso, dopo l’allontanamento dalla scena del “Divo”, il magistero cattolico non si è più fidato di nessuno e ha ripreso in mano il controllo diretto su ciò che i rappresentanti eletti dicono e pensano, in particolare riguardo ai cosiddetti “principi non negoziabili”.
Pagine d’altri tempi, certo, che con la morte di un autentico protagonista, vengono affidate definitivamente al grande archivio della storia. O forse anche no: come non vedere dei “segni” di riproposizione degli stessi schemi, nell’attuale compagine che governa l’Italia?
Andrea Bellavite
Invece di immaginare e riproporre come emergente l'ipotetica resurrezione della D.C. magari per mano di Enrico e Gianni Letta con Luppi, Fioroni e Casini, Gentiloni e Franceschini, Bindi e Serracchiani, tanto desiderata ed auspicata dal cardinal Ruini ed altri, perchè AB non propone invece assieme a tanti altri che ci provano da tempo, di richiedere a gran voce e con tutti i mezzi possibili l'abolizione del segreto di stato, su tutti i misteri che hanno imperversato in Italia per mantenere il potere temporale (quello costantiniano costruito nei segreti dei mitrei), ma pure e soprattutto per imporre tutt'oggi ai cittadini dell'Italia il veto assoluto di poter affermare una democrazia compiuta, come è accaduto solo per due volte per poco tempo con Romano Prodi attraverso il consenso.
Le riunioni che condurranno i ministri del governo in carica a riflettere in una rilassante e alberghiera abbazia, non si sa poi su che cosa e come, lontano da qualsiasi garanzia di news, partecipazione e democrazia, forse assomigliano sempre più a quelle dei politici del Bilderberg, della Trilaterale etc…- Mai siamo caduti così in basso in Italia. Viene da perdere ogni speranza, ma per fortuna c'è la Costituzione Repubblicana, ci sono le idee dell'Antifascismo e della Resistenza che non possono essere soppresse, e su quelle ci è ancora dato di poter sempre riprendere un giusto cammino. Lasciamo ben perdere nell'oblio figure oscure come il sen. Andreotti, seguiamo invece lo stesso esempio che ha dato ieri a Milano Umberto Ambrosoli figlio dell'Avvocato Giorgio ucciso dai sicari di Sindona mentre indagava quale Commissario liquidatore sul crack della Banca Privata dello stesso Sindona e quest'ultimo sappiamo bene che per il defunto Giulio veniva considerato il salvatore della lira. Libertà ai popoli !!!
Anonymus de Anonymis
Se Craxi lo chiamava Belzebù avrà avuto i suoi buoni motivi
In ogni caso non era immortale, e la livella ha fatto
la giustizia che gli uomini della legge non hanno saputo e voluto applicargli, perchè era protetto come tutti gli appartenenti alle sue congreghe, e comunque ora se è vero che egli era credente se la vedrà con Domineddio, e forse chissà, magari, in quella dimensione superiore dovrà vedersela anche con l'Avvocato Giorgio Ambrosoli, per spiegare la sua perfidia nel dire dopo l'assassinio di quest'ultimo compiuto dai sicari di Sindona, che in fondo che egli se l'era cercata, quello era l'Andreotti vero, per niente perdonabile e per niente onorevole.
La morte non è un atto di giustizia, anzi, ponendo fine ad un'esistenza, vissuta non sempre in modo esemplare, anzi, in molti casi – come in quello specifico della persona in questione, macchiata da molte ombre, sospetti e accertata correità – segna anche la fine di ogni concreta possibilità di ottenere giustizia: per una malintesa concezione della pietà, con la morte anche chi ha compiuto gravi reati è gratificato di una certa indulgenza, gode di una sorta di sospensione del giudizio e, in maniera del tutto ipocrita, gli si abbuona una parte della colpa cancellando la memoria delle azioni peggiori compiute in vita ed enfatizzando, per contro, anche la minima traccia di onestà, moralità, correttezza, andando a scovare anche il più insignificante segno di umana benevolenza, sottolineando magari la sua grande religiosità, giungendo talvolta al paradosso di farne un santo sulla base di comportamenti che dovrebbero essere la normalità. Insomma, una cosa è il rispetto per la morte di una persona, altra cosa è tributarle onore e celebrarne la figura ingigantendone a dismisura i meriti, veri o presunti, quasi a voler bilanciare il male compiuto con il ricordo delle azioni buone e giuste. Comunque sia, ognuno di coloro che con nel corso della loro vita sono entrati in relazione con il defunto avrà dello stesso un ricordo personale e diverso, a seconda delle circostanze e delle modalità relazionali (affettive, amicali, professionali o di altro genere) in cui la sua vita si è intersecata con quella dell'altro. In molti casi perciò, è di gran lunga preferibile il silenzio. Anna V.