Coinvolgente la presentazione del libro “Viaggio nell’Italia dei beni comuni”, ieri sera all’Ubik!
Si tratta di un testo nel quale vengono raccontate vicende relative a esperienze storiche e attuali di “proprieta’ collettiva”. La proposta dei curatori e’ quella di dare profilo legislativo a tali forme di economia alternativa, in grado di oltrepassare l’ordinaria distinzione tra bene “pubblico” e “privato”.
E’ interessante sapere che in giro per l’Italia esistono numerose esperienze di gestione collegiale della vita sociale, anche se l’insieme delle realta’ descritte non toglie la sensazione di trovarsi di fronte a esperienze “di nicchia”, quando non addirittura rese possibile proprio dal loro collocarsi al di fuori del normale scorrere del tempo e della storia (come nel caso del monastero delle clarisse francescane di Camposampiero).
Il tempo a disposizione non ha consentito di approfondire particolari interrogativi. Per esempio…
L’esperienza della gestione collettiva dei beni comuni e’ limitata a chi la vive, al massimo a una “rete” di relazioni costruttive tra le diverse realta’ o si propone come alternativa al capitalismo globale?
In altre parole, si puo’ intravvedere l’inizio di una vera rivoluzione nonviolenta oppure si configura come testimonianza di piccoli gruppi, comunque all’interno di una medesima logica?
Il degrado dei beni di proprieta’ della collettivita’ e’ sotto gli occhi di tutti anche in una realta’ piccola come quella goriziana: le situazioni descritte nelle “storie” del libro possono essere un modello da realizzare anche a livello locale, magari anche attraverso gesti eclatanti finalizzati a un nuovo modo di usufruire delle strutture della citta’ (vedi casa Fogar a Pevma, gia’ sperimentata nel tempo del “Clandestino”; ex provveditorato agli studi; bagni pubblici di via Cadorna; lo stesso Museo santa Chiara… solo per portare qualche esempio)?
Infine, sarebbe possibile che tutti coloro che gravitano intorno al mondo del commercio equo o dell’acquisto solidale si riuniscano per costruire insieme un progetto, anche a livello di proposta amministrativa e di realizzazione pratica? Non scatterebbe ancora una volta la diffidenza e la paura di “fare politica”, come accaduto anche nel recente passato goriziano, quando sono state letteralmente gettate al vento tante occasioni per imprimere una grande svolta alla storia della citta’?
Ecco, qualche domanda suscitata da una semplice, ma interessante presentazione di libro…
Andrea Bellavite
Se le parole hanno ancora un valore e un significato quello di via Santa Chiara non è un Museo ma un semplice spazio espositivo.
Euro Tedesco
Non capisco la diffidenza di coloro che ti dicono "purché non si faccia politica", ma cosa cavolo vuol dire?!? Forse è colpa della confusione ingenerata da un malinteso che non distingue tra politica e partiti, o forse è il risultato della disaffezione di gran parte degli elettori nei confronti della politica gestita proprio dai partiti malamente e spesso in modo criminale, ma neanche così mi spiego tanta ritrosia: non sono forse "Politica" – nel senso migliore e più profondo del termine – un certo modo di pensare e agire, la scelta dello stile di vita e di comportamenti virtuosi, la ricerca di modelli di convivenza, di relazioni e di scambi anche di tipo economico improntati ad equità, solidarietà, sostenibilità sociale ed ambientale? Certo che lo sono, ed è confortante sapere che questi esempi virtuosi si vanno moltiplicando anche molto vicino a noi, ma sarebbe interessante trovare il modo di dare ad essi dignità e forma giuridica, di ottenerne il riconoscimento anche da parte delle istituzioni, innescando un meccanismo di valutazione del merito, in virtù del quale a beneficiare di incentivi o agevolazioni, fiscali o di altro genere, siano le comunità, le amministrazioni locali e le imprese di cui sia certificata la condotta virtuosa, per tradurre quelle pratiche in un sistema più ampio ed articolato, un vero e proprio nuovo "modello" sociale ed economico. Si potrebbe, per esempio, proporre di potenziare e rendere più rigoroso l'attuale sistema di valutazione e certificazione della compatibilità ecologica e sociale (prodotti da agricoltura biologica e biodinamica, certificazioni cruelty free, contro test su animali, marchi equo&solidale, nel rispetto dei diritti umani, delle normative contro il lavoro minorile ecc.), chiedendo e promuovendo progetti di legge in questo senso, che stabiliscano i criteri di valutazione ed amplino la gamma dei requisiti di compatibilità ed equità (per esempio introducendo l'obbligo di certificazione del rispetto delle norme di sicurezza per la salute e per l'ambiente o della congruità del compenso/salario stabilito), rendano obbligatoria la certificazione garantita a monte da controlli autentici e severi da parte di un'autorità – a livello europeo e mondiale – garante dei diritti e della salute dei lavoratori e della tutela ambientale (magari esiste già qualcosa di simile di cui non sono a conoscenza), assegnino una sorta di "punteggio" a chi produce ed al prodotto finale, facendo scattare una serie di sgravi e agevolazioni, per esempio privilegiando i produttori ed i prodotti con punteggio più alto nella distribuzione sul territorio, solo per fare qualche esempio (qualcosa del genere è già presente nel sistema dell'economia del bene comune di Felber): non so, potrebbe essere una buona strada. Anna V.